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 2020  agosto 03 Lunedì calendario

Ora lo spaccio di droghe è virtuale

Marco accetta di farsi spiare dentro lo smartphone solo a una condizione irrinunciabile: niente nomi e niente screenshot. Fatto l’accordo, si può iniziare a sbirciare tra i messaggi e le chat di un diciassettenne che il mondo della droga lo frequenta già da 4 anni. «Non assiduamente – precisa subito – Mica sono un tossicodipendente. Nel weekend con gli amici ci piace sballarci. Solo roba leggera, quando vogliamo possiamo smettere. Ci alterniamo per procurare la roba. Questa settimana tocca a me». La ricerca si fa dal divano di casa: «Senza il rischio di incontrare una pattuglia».
Il mondo dei pusher negli angoli delle strade è una storia vecchia. Non c’è bisogno di andare ai giardini pubblici per cercare la dose. Il mercatino è tutto virtuale. Il bancone di pastiglie e sostanze sintetiche, assortito anche di cocaina, eroina e hashish, è fatto di chat che si autodistruggono: messaggi che durano massimo 7 secondi dopo la lettura. Il tempo di cancellazione lo imposta l’amministratore della chat, che in questo caso è il venditore: lo spacciatore, per dirla con la vecchia terminologia da brogliaccio giudiziario.
La compravendita è fatta prevalentemente di dialoghi crittografati, tecnologia “end to end” direbbero i più esperti. Stories temporanee e fotografie che servono a scegliere le sostanze da acquistare ma che sono visibili una sola volta. Riguardarle o salvarle è impossibile, fare i furbi persino rischioso: «Se fai uno screen l’altro riceve subito una notifica». Alla fine, dunque, non restano prove, perché la cronologia non esiste più. Le intercettazioni in questo mondo di messaggi che spariscono all’istante sono quasi impossibili. E i ragazzi sanno di muoversi in un universo in cui l’innovazione è più veloce delle tecniche investigative.
Il primo approccio avviene su Instagram, dove tutto si nasconde dietro profili che non hanno riferimenti al mondo dello sballo. «Devi conoscere i nick giusti», suggerisce Marco. Il grossista della settimana è un ragazzo che studia ingegneria, meno di trent’anni e vita social al di sopra di ogni sospetto. Sulla gallery mostra bellissime foto di paesaggi, di mare e montagne innevate, abbracci con la fidanzata e opere d’arte accompagnate da belle citazioni. Dietro, cioè in privato, c’è un altro mondo. Marco lo conosce da sei mesi, ci ha già fatto affari più volte, ma dei loro dialoghi non è rimasta traccia. Gli accordi si fanno senza parole di troppo: «Sei operativo questa settimana?». La risposta arriva in 2 minuti: «Sì certo, passiamo su Telegram, solito nick».
Per portare avanti la trattativa bisogna cercare un profilo che si identifica con una serie di numeri e lettere alternati da caratteri speciali. Si apre una chat segreta, una specie di stanza più blindata dei soliti messaggi che su Telegram si possono scambiare più o meno come su WhatsApp. «Qui gli spioni non possono arrivare – dice Marco – Il bello è che tutto sparisce in un istante». Stavolta l’amministratore della chat, lo spacciatore che però non gradisce di essere chiamato così, imposta il timer di autodistruzione sugli 11 secondi. In 5 minuti l’accordo è fatto. «Questa settimana ho anche un po’ di “spice": t’interessa?». Marco ci riflette un attimo, prova a spiegare di cosa si tratta, ma la proposta non lo convince per niente: «È un mix di erbe, assomiglia molto alla cannabis ma ho capito che è molto più forte. Ho letto su internet che è molto pericolosa, non mi fido, preferisco stare sulle cose classiche».
Il mercante digitale di dosi continua a proporre le offerte del momento: «Ci sono keta e speedball. Dimmi se stavolta vuoi cambiare». L’acquisto è di gruppo e gli amici di Marco non hanno intenzione di fare esperimenti: «Sabato dobbiamo andare in Liguria – ricorda Alessandro, un altro diciassettenne che partecipa alla spesa per il weekend – Non è il caso di comprare cagate, rischiamo che salti tutto». E allora si va sul sicuro: «Metti da parte il classico, ci vediamo domattina al solito posto. Non ho contanti».
Il pagamento è elettronico, ma non c’è bisogno di Iban o di carta di credito: si usa un’app per lo scambio di denaro e il versamento ovviamente deve essere anticipato. La consegna è fissata per l’indomani, in una biblioteca.
Dove gli investigatori arrivano con difficoltà si è creato un mercato molto più fiorente, meno appariscente di quello che si vedeva nelle strade, nei giardini o negli angoli bui dei quartieri più degradati. Affari a distanza, di giorno e di notte: le notifiche arrivano a tutte le ore. È un nuovo mondo, una specie di “deep web” della droga. C’è persino chi fa le recensioni: sia per gli acquirenti che per i venditori. Perché di tanto in tanto c’è chi piazza dosi scadenti, mix troppo pericolosi e anche chi sparisce con un click dopo aver incassato il denaro: «Profilo inesistente». Il mercato cambia perché i clienti sono sempre più giovani: armati di smartphone, esperti di app segrete e abituati ai linguaggi cifrati. Gli spacciatori si sono adeguati alle richieste. L’effetto è che il consumo di droghe, dalle sostanze classiche ai nuovi mix, è sempre più diffuso tra i giovanissimi.
Non è proprio una novità, ma scorrere i numeri dà la misura di quanto la situazione possa essere preoccupante. Tutto questo si legge nell’ultima relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze in Italia: il 34% degli studenti fra i 15 e i 19 anni (circa 880mila ragazzi) ha utilizzato almeno una volta nella vita una sostanza illegale. Quasi il 2% (cioè 41mila ragazzi) ha assunto sostanze senza sapere bene cosa stesse ingerendo. —