Ripercorre volentieri gli incontri fondanti di un viaggio durato quasi settant’anni, 600 film prodotti o distribuiti con la sua Italian International Film oggi guidata con le figlie Federica e Paola.
Tante cerimonie e tanti premi. Il ricordo più bello?
«Il David di Donatello a Ricomincio da tre , fu una sorpresa. Mi ero innamorato di Massimo Troisi in teatro, ero impressionato da come la folla lo ascoltava e si divertiva, anche chi non capiva il napoletano. Tutti mi sconsigliavano di fare il film.
L’unico consiglio che gli diedi, poiché parlava in dialetto, fu "ripeti più volte le parole, così la gente, alla terza, la battuta la capisce per forza"».
Un altro suo attore amato è stato Enrico Montesano.
«L’ho visto da poco in tv che parlava de Il ladrone , che girammo insieme, di Pasquale Festa Campanile. È stato il film che ci ha dato più soddisfazione dal punto di vista economico, l’ho venduto in tutto il mondo. La prima fu a Roma, al cinema Europa. La cassiera esclamò: "Ma si vede Gesù sulla croce!"».
"Aspromonte" di Calopresti racconta un un luogo a lei caro, tant’è che ha fatto un cameo. Cosa ha ritrovato dell’infanzia?
«Quando avevo cinque anni mio padre metteva me e mio fratello su un treno e ci mandava in Calabria da mia nonna, era di Santo Stefano di Aspromonte. Passavamo l’estate al canalone di Villa San Giovanni, scendevamo al mare scalzi, le scarpe non si conoscevano. Il mare dello Stretto era profondo e freddo».
Doveva fare l’avvocato, come suo padre e suo fratello.
«Invece parlavo inglese e iniziai a lavorare con gli americani a un documentario sull’Anno Santo, era il 1950, per una scena rischiammo di bruciare i dipinti di Raffaello… Ma l’amore era iniziato prima, da ragazzino andavo al cinema e con una lira vedevo due film, mi piacevano gli horror come Frankenstein . Più avanti venne in Italia Boris Karloff, lo portai a cena a Trastevere e il cameriere si spaventò moltissimo. Ne ho prodotti un po’, Cosa avete fatto a Solange? amato da Tarantino, Il medaglione insanguinato ... Si vendevano bene all’estero».
Mise Buster Keaton insieme a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
«Giravo Due marines e un generale ma non stava venendo come volevo. Sono andato in America e mi sono preso Keaton. Il set prese un altro passo. Buster parlava poco, un giorno disse dei colleghi "sono grandi attori, se parlassero inglese farebbero fortuna in America". Feci causa contro un signore della Rai che aveva detto "povero Keaton, in mano a quei due cialtroni". La causa l’ho persa. Non sono ricordati come meriterebbero, professionisti educati e rispettosi dei ruoli».
Negli Stati Uniti andava spesso.
«Avevo molti amici produttori, tra cui Roger Corman; anni fa mi chiamarono da Locarno, lo avevano invitato per il premio alla carriera e lui disse che sarebbe venuto solo se glielo avessi consegnato io. Persone così gentili non ce ne sono più».
Il momento più bello e il
peggiore della carriera?
«Il migliore quando andai sul set in Inghilterra e mi innamorai di un
Cime tempestose che contribuii a produrre. Quando i film vanno male è un dolore, ce ne sono alcuni in cui ho creduto e non hanno reso quel che pensavo. Io e Caterina avrebbe potuto fare meglio se Alberto Sordi mi avesse dato più retta. Ai tempi de Il tassinaro cercai di fargli pungolare Andreotti con una battuta, "Accidenti presidente com’è veloce a occupare i posti", ma non c’è stato verso: lui s’è messo sull’attenti e buonasera».
Lei ha fatto tanti film di genere ma ha lavorato anche con Comencini, Ferreri, Zeffirelli: non dev’essere stato sempre facile il rapporto con gli autori.
«Le faccio un esempio. Avevo un film bellissimo, Indocina , e avevo convinto il regista Régis Wargnier a tagliarlo un po’, lo feci venire a Roma, in moviola. Quel giorno mi viene a trovare Dino De Laurentiis che attacca: "io taglierei questa scena, poi anche là e là...". Il regista alla fine non tagliò niente e se ne andò. Ma Dino era bravissimo.
Eravamo molto amici. Prima di morire mi chiamò ma era notte, dormivo e non ho sentito. Mi manca la sua personalità, decideva le cose senza pensarci troppo, con gli americani in cinque minuti si faceva valere».
Invece con gli attori?
«Giravo L’inchiesta con Damiano Damiani, Harvey Keitel mi dice "ho firmato il contratto ma non vengo perché sono ebreo", in quei giorni gli americani avevano bombardato Tripoli. Gli dissi "vengo a prenderti a New York". È venuto a Roma viaggiando sotto il mio nome».
Ha scoperto molti talenti, da Archibugi a Winding Refn.
«L’ultimo è Giampaolo Morelli, abbiamo fatto 7 ore per farti innamorare , mi è piaciuto il libro e l’ho segnalato alle mie figlie. E prima Massimiliano Bruno, bravo, anche se per un periodo fu in collera con me: alla presentazione di Ex gli feci i complimenti come sceneggiatore ma dimenticai il nome e lo chiamai "coso"».
Ha attraversato quasi settant’anni di storia cinematografica d’Italia.
«Negli anni 50 credevamo nel futuro, dopo la guerra volevamo ricostruire. Investivamo facendo debiti ma portavamo a casa prodotti a volte eccezionali. Un tempo gli esercenti erano meno bottegai, avevano più amore per il cinema e meno ossessione per gli incassi.
Seguivano il film, non si trattava solo di mettere un cartellone e via. Noi il 26 agosto riapriamo le nostre sale in pompa magna».