Ha appena raggiunto il fratello nella casa in collina, il luogo migliore per ricordare la madre nel decimo anniversario della scomparsa. «Le stanze sono ancora piene di lei e del suo odore, una particolare mescolanza di profumo, creme e libri».
È ancora forte la presenza.
«Mamma è qua, con noi. I suoi armadi sono ancora intatti, con i vestiti a fiori che indossava d’estate. Sulle pareti resistono i ritratti molto amati delle signore dell’Ottocento, "tanto poi quando muoio ve ne libererete", e invece noi siamo rimasti come congelati. E poi ci piace stare nella sua biblioteca, tra gli scaffali di famiglia, dove Topolino convive con i classici della Medusa. Per lei non esisteva la distinzione tra alto e basso, ma tra buoni e cattivi libri».
Dieci anni possono essere lunghi o passare in un istante.
«Per noi sembra ieri. Una ferita ancora aperta. Siamo ancora governati dalla sua grazia e a ogni passo ci chiediamo: la mamma che farebbe? Non era un’indottrinatrice, ma insegnava naturalmente. E dalla sua vita, intensissima e faticosa, ci arrivano molte luci, soprattutto nella difficoltà».
Figlia di prefetto, rimase orfana di madre molto giovane, primogenita di sei figli.
«Erano borghesemente poveri, come dice mia zia. Avevano accesso agli studi e alla lettura, ma erano tanti fratelli, in tempo di guerra. E lei sviluppò sin da piccolissima la sua vocazione. Quando terminava la lettura d’un libro – era insaziabile – se ne preparava uno da sola, con la carta che avvolgeva la frutta e le figure ritagliate dai giornali. Andava in cucina, la stanza più calda, e incollava con acqua e farina».
Lei ha scritto su sua madre la frase più bella: «Aveva il sentimento dei libri e ne ha fatto una ragione».
«Era come una rabdomante, dotata del potere di intuizione, che è la capacità di sentire: riusciva a capire immediatamente il buono di un libro, la sua dignità, il motivo che rendeva necessario condividerlo con gli altri. Gli autori si sentivano presagiti».
Era riuscita a farsi strada in un ambiente maschile. Una volta mi raccontò che era "la signora del tè": interveniva nella discussione solo per domandare come lo gradissero. C’era anche molta ironia.
«Credo che fosse vero. Insieme al tè serviva delle ottime idee che allargavano l’orizzonte culturale della casa editrice. Anche la collana della Memoria deve molto al suo sguardo più aperto di quello di Sciascia: i primi titoli furono decisi da Leonardo, ma poi entrarono gli autori greci, i classici, il giallo contemporaneo. In fondo con le sue collane faceva come con la biblioteca di casa: un mosaico di tanti generi e filoni che avevano come un unico comun denominatore il suo gusto saldo».
Fu lei a incoraggiare la serialità nelle storie poliziesche italiane. Lo fece con Camilleri, con Lucarelli e con Carofiglio. Se fosse stato per gli autori, i Montalbano, i commissari De Luca e gli avvocati Guerrieri avrebbero avuto vita breve.
«Si innamorava dei personaggi e voleva saperne di più. Ancora prima degli autori, si rendeva conto che avevano ancora tanto da dire e molte vite da vivere. E sapeva essere molto carismatica con gli scrittori».
Suo padre Enzo Sellerio, celebre fotografo, era irritato dalla crescita professionale della moglie.
«No, non irritato ma sgomento, come possono esserlo gli uomini davanti a una ragazza giovane e bellissima che s’impadronisca con naturalezza del mestiere. In realtà mio padre la stimava molto.
Mamma aveva un carattere meravigliosamente iroso, ma trovava sempre la soluzione».
Nonostante la separazione
sentimentale, lui le chiese di non divorziare.
«Se mai un giorno te lo dovessi chiedere, le disse, ricordati che non devi mai concedermelo. La mamma era la sua àncora».
È morto solo un anno e mezzo dopo la moglie.
«Stava bene e non ce l’aspettavamo. È difficile interpretare questi accadimenti, ma quello che mi sento di dire è che tra loro c’era un legame indissolubile che non vollero mai sciogliere».
L’ha mai vista soffrire per amore di suo padre?
«Io sono nata quando il matrimonio stava finendo e sicuramente il dolore c’è stato. Ma trovò la forza di reagire nel suo lavoro, senza chiudersi nel risentimento».
Anche in casa editrice dovette affrontare varie difficoltà, soprattutto economiche.
«Era avventurosa. Quando versava in cattive acque, giocava in attacco, muovendo alla conquista di nuovi titoli e nuovi autori. Il fatto di essere una donna non l’aiutava. Ricordo che alcuni direttori di banca si rifiutavano di rispondere alle sue chiamate e lei allora faceva chiamare dal portiere».
Da dove nasceva l’indomito
amore per i figli?
«Era una madre secondo natura, molto amorevole e molto apprensiva. Qualunque cosa facesse, noi eravamo la sua priorità».
Coraggiosa nel lavoro e ansiosa nella vita famigliare.
«Ha creato con me ed Antonio un cordone incredibile, viscerale, mai interrotto. Durante i miei viaggi l’ho sempre chiamata mille volte: non per temperare la sua ansia, ma per il piacere di raccontarle. Antonio mi rimproverava: ma così la "diseduchi", l’abitui male. Fino all’ultimo giorno ci ha tenuto vicini a lei, sempre con quella sua grazia intelligente e affettuosa. "Fai pensieri lieti": è stato il suo saluto, anche nella malattia».
Fece un passo indietro anche in casa editrice. Negli ultimi anni viveva ritirata, anche per abituarvi alla sua assenza.
«Una frase m’è rimasta dentro. Una volta mio figlio piccolissimo rischiò di soffocare con una spina di pesce: lì per lì restai lucida, ma poi andai a piangere nella camera di mamma.
Mi abbracciò: amore mio, ma tu non puoi far così. I figli si crescono, gli si insegna a essere autonomi e poi li si lascia liberi di andare nel mondo».
Anche la musica vi ha unito. Lei Olivia ha interpretato sedici brani che in qualche modo la rappresentano.
«Sì, mia madre aveva una quantità di piccole gioie e alcuni piaceri maggiori tra cui le canzoni.
Canzonette da vasca, musiche scanzonate, brani di vario genere.
Ricordare la sua euforia gioiosa mentre le ascoltava mi mette il buonumore».
Era una donna allegra.
«Sì, anche nella tragedia. Non la ricordo mai annoiata o in contemplazione del nulla. Se non leggeva, si metteva a cucinare o dipingeva gli orribili condizionatori dell’aria o incollava in un album biglietti, ricette, cose diversissime».
Era una donna molto bella.
«Era stata bellissima da ragazza – magra, gli occhi orientali, la pelle ambrata, i capelli dorati – ma stava bene nel tempo: aderiva naturalmente a ogni età, dichiarandola la più bella. Era in pace con se stessa, fondamentalmente libera.
Conosceva il potere della bellezza.
Esserlo stata le aveva dato sicurezza».
Le viene ancora l’impulso di telefonarle?
«Mi manca la telefonata della mezzanotte, che ci scambiavamo ovunque fossimo. Il mio fonico mi ha rivelato da poco che quando devo improvvisare delle frasi musicali faccio sempre le stesse note. Sono i suoni del telefono di mamma».
Oggi sarebbe orgogliosa di voi.
«Antonio è stato bravissimo: si è mosso sul suo tracciato, mettendoci anche del suo. Per quel che mi riguarda, so quando non sarebbe contenta. E cerco di non scontentarla troppo».