la Repubblica, 3 agosto 2020
In Amazzonia incendi triplicati in un anno
L’Amazzonia ha ripreso a bruciare. Peggio dell’anno scorso. Gli incendi dolosi appiccati nella deforestazione selvaggia, si denunciava esattamente 12 mesi fa, divorano l’equivalente di un campo di calcio ogni minuto. Servivano ad aprire la strada ai pascoli e alle coltivazioni intensive di soia. Solo pochi sono opera dei contadini, la maggioranza è illegale.
Bbc Brazil adesso riferisce che il numero dei roghi nel Pantanal, l’area che comprende la foresta pluviale di Brasile, Bolivia e Paraguay, è triplicato nel 2020. L’Inpe, l’agenzia spaziale nazionale brasiliana, attraverso i suoi satelliti ne ha mappati 3.862 dal 1° gennaio al 23 luglio: un incremento del 201% rispetto al 2019. È il dato più alto in 13 anni di attività dell’istituto. Per fare un confronto, nei primi sei mesi del 2018 ne erano stati segnalati 277. Ma è la parte della foresta brasiliana, il cuore dell’Amazzonia, a subire l’erosione più vasta. Le immagini satellitari rivelano che a luglio ci sono stati 6.803 incendi: un incremento del 28% rispetto allo stesso mese del 2019.
Il nuovo record ha messo in allarme tutte le organizzazioni internazionali che vigilano sull’Amazzonia e gli stessi responsabili dell’Inpe ora in mano ai militari dopo l’azzeramento del vertice decretato da Bolsonaro. Il presidente del Brasile sopporta a fatica le cifre che vengono fornite mensilmente dall’agenzia spaziale. Lo scontro che poi portò al licenziamento del responsabile nacque proprio dalla sua denuncia sul disastro che stava distruggendo l’Amazzonia, la stessa che aveva provocato le proteste internazionali culminate nel vertice di Parigi sull’ambiente.
Pressato dagli investitori stranieri che hanno minacciato e in parte revocato i finanziamenti per la tutela dell’Amazzonia, all’inizio di luglio Bolsonaro ha vietato per quattro mesi i lavori di ripulitura. La storia si ripete con conseguenze peggiori. «È un segnale terribile», commenta alla Reuters Ane Alencar, direttore scientifico dell’Amazon Research Institute brasiliano.
È iniziata la stagione secca: montagne di alberi, tronchi, rami, arbusti e foglie giacciono sul terreno creato dai tagliaboschi. Gli sbalzi climatici producono forti temperature. Al resto ci pensano ruspe e motoseghe e gli inneschi piazzati dalle squadre di mercenari al servizio degli agrari. Lo Stato sostiene di reprimere con durezza ogni attività illegale nelle aree tutelate, ma le multe salate previste in questi casi sono rare. Il presidente è sempre stato critico nei confronti dell’Ibama, l’istituto preposto al controllo della foresta, per le ammende che considera eccessive. Una tolleranza che apre la strada ai tagliaboschi illegali e che risponde alle richieste dei grandi allevatori e proprietari terrieri.
Il Covid ha ridotto il numero di pattuglie che vigilano sui limiti delle aree boschive più interne. Quelle indigene sono praticamente scomparse. Molti guardiani della foresta sono stati uccisi dall’esercito di minatori e garimpeiros tornati nei territori protetti e destinati alle tribù. Gran parte dei villaggi sono deserti: il coronavirus ha iniziato a espandersi nella foresta, ha contagiato centinaia di indigeni e ha spinto la maggioranza ad allontanarsi dai centri abitati.
Con le fiamme è iniziata anche la fuga di migliaia di giaguari, formichieri e uccelli che popolano quest’area di 140-160 mila chilometri quadrati. Le zone umide del Pantanal hanno la maggiore biodiversità del mondo con tre milioni di specie animali e vegetali. L’equilibrio ambientale è sempre più precario. La natura ha modi e forza per proteggersi. Ma le continue erosioni, i cambi climatici dovuti anche al disboscamento senza regole, assieme ai fuochi che punteggiano il grande mantello verde, sono una sfida difficile da contrastare. Lo scorso agosto si è raggiunto il culmine di questo assalto con 30.901 incendi. Tre volte quelli del 2018. Gli scienziati avvertono da tempo che siamo vicini al punto di non ritorno. Basta disboscare il 25-30% dell’Amazzonia per spegnere il polmone che fa respirare la Terra. Manca poco. Quest’anno, con il nuovo record, faremo un passo in più.