La Stampa, 1 agosto 2020
Biografia di Lina Cavalieri
Lina Cavalieri era bella da togliere il fiato. Per Gabriele d’Annunzio era la «massima testimonianza di Venere in terra», per gli altri la donna più bella del mondo. Si spiegano così le 840 proposte di matrimonio, i cinque mariti e i sette disgraziati che si uccisero per lei. Negli anni fatui e deliranti della Belle Epoque Lina era desiderata e inquieta. Lo era fin dall’adolescenza, quando il benessere della famiglia sfumò dalla sera alla mattina. Era successo che suo padre fu licenziato per vendetta dopo che l’architetto per cui lavorava aveva tentato di violentargli la moglie su un tavolo da cucina alla presenza dei tre figli e incurante del quarto in gestazione. L’architetto non gradì la reazione rabbiosa della signora Teonilla e si sfogò togliendo l’impiego al dipendente. Per vivere l’onesto Florindo Cavalieri fu costretto a vendere olive per le strade di Trastevere e Lina, che aveva 13 anni, fu messa a lavorare in una stireria. Stirava e cantava, e se qualcuno la rimproverava gli buttava addosso quel che aveva a portata di mano. Anche il ferro da stiro.
Carattere di fuoco e voce d’angelo. Erano tutti d’accordo. Fu così che Lina studiò solfeggio e espressione con un vicino di casa. In una mite sera del 1890, a 14 anni, cantò per la prima volta in un locale di piazza Navona. Era così spaventata che dovettero spingerla a forza. Cantò, ma alla fine si precipitò in lacrime fra le braccia della madre, mentre la sala esultava più per l’apparizione che per l’interpretazione. Lina continuò a studiare col maestro Molfetta, che la mise incinta e riuscì a sottrarsi alle furie di Florindo e alla denuncia per corruzione di minorenne promettendo di mantenere la famiglia intera, compreso il piccolo Alessandro nato nel frattempo, fino a quando Lina non fosse stata indipendente. Cosa che avvenne presto. Pochi anni dopo, nel 1896, Lina era già alle Folies Bergère, a Parigi, nella «grande ammaliatrice delle anime provinciali», come annotò lei stessa. Vi era arrivata dopo essere passata trionfante per Napoli (il mitico Trianon), Milano e Vienna. Alle Folies fu inserita in un gruppo di chanteuses e di danseuses i cui nomi lasciavano tramortite le platee. Scrisse: «Il programma del mio teatro è suggestivo. Comprende già i nomi di Loïe Fuller, l’inventrice delle danze luminose, di Max Dearly, di Liane de Pougy, della Bella Otero».
La Bella Otero! Ovvero la zampa violenta del destino. Lei e Lina si odiarono. Oltre che sciantosa di prima grandezza, la Otero era una famosa divoratrice di soldi altrui. Per lei un principe russo dilapidò il patrimonio e bruciò le eredità che via via gli arrivavano, fino a quando in famiglia non morì più nessuno e l’amore finì. Tra la Otero e la petite italienne correva una rivalità astiosa che sfociò in rissa quando la spagnola pretese di ballare al posto di Lina nell’ora «più elegante e più degna». Lina rifiutò lo scippo. Le disse: «Senti, Carolina! Tu nascondi il pugnaletto andaluso nella giarrettiera, ma io posseggo degli ottimi pugni che ora ti farò sentire». Dovettero separarle.
Si incontrarono nuovamente in Russia nel 1898, scritturate dal teatro Aquarium di San Pietroburgo. L’impresario riteneva che, messe insieme, le due stelle avrebbero sbancato il botteghino, e non si sbagliava. La bella e la bellissima rivaleggiarono in tutto. Per uno spettacolo a scopo benefico Lina si fece cucire un abito crivellato di diamanti e di perle che le costò 40 mila rubli, l’equivalente di 360 mila euro. Poco mancò che, vedendola, la bella spagnola non venisse stroncata da un colpo apoplettico. La Russia adorava Lina, gli uomini la lusingavano, la desideravano, ma lei aveva occhi soltanto per il principe Alessandro (Sacha) Bariatinsky, che sposò abbandonando il teatro di varietà, fiera del fatto che «Sacha non un mio desiderio lasciava insoddisfatto. L’ammirazione generale di cui ero circondata lo inebriava. La donna che una teoria non breve di uomini desiderava, era sua moglie». Ma Lina dimenticava che presso la corte russa vigeva una regola di ferro: non era proibito che granduchi e principi frequentassero donne di palcoscenico, era proibito sposarle.
Dopo l’intervento dello zar Nicola II in persona, Sacha fu costretto a divorziare. Lina, che nel frattempo aveva cominciato a dedicarsi al melodramma, dovette sloggiare con una buonuscita in gemme e gioielli che impedirono al suo cuore di andare in cocci, ma con un progetto in testa: avrebbe cantato l’opera. Al San Carlo di Napoli interpretò Bohème di Puccini e fino al 1920 si esibì nei maggiori teatri del Nord e del Sud America, anche al fianco di Enrico Caruso, con le platee sempre ai piedi e la critica che storceva il naso. Significativo il giudizio dell’editore Giulio Ricordi: Lina non è un’artista lirica ma soltanto una bella donna.
Un giorno, misteriosamente, la bella donna scomparve. Dov’era finita Lina Cavalieri? Sembrava irrintracciabile, disciolta nell’aria. In realtà si era nascosta a Parigi col cuore gonfio di tristezza. Aveva 45 anni, presto sarebbe diventata vecchia, non si sarebbe più trovata al centro del desiderio maschile, ma su quel crinale malinconico occupato dai commercianti grassi con la bocca a ciabatta. Poteva accettare il destino comune a tante ex belle donne? Scelse di cambiare tutto. Sugli Champs-Elysées aprì la «Maison Cavalieri» e creò il primo istituto di bellezza europeo. Scrisse: «Le macchine di massaggio e di ondulazione, le ciprie, le creme, i rossetti e le lozioni sostituirono, per circa dieci anni, le orchestre, le scene, le partiture. Il pubblico non applaudiva più il mio canto, ma le mie clienti uscivano radiose di felicità dai miei gabinetti di cura estetica».
Nella nuova vita da imprenditrice, Lina si diede la missione di rendere desiderabili le donne un po’ scialbe, un po’ spente. Presa dal fervore, inventò anche il profumo «Monna Lina». Ma gli affari non andarono benissimo. E quando scoprì che Luciano Muratore, il suo quinto marito, la tradiva con Mademoisellre Tornon, direttrice della Maison, il mondo parve crollare. Per la prima volta lei, la donna più bella del mondo, conobbe l’umiliazione della tradita. Chiuse tutto, lasciò il fedifrago e si rifugiò in una villa non lontana da Firenze per risistemare la vita e i ricordi. Allo scoppio della guerra gli Alleati cominciarono a sganciare bombe su Firenze e lei, per prudenza, si mise in viaggio. Era da poco salita in macchina quando si ricordò di una cosa. Ordinò all’autista di tornare indietro, rientrò in casa, cercò la cassetta dei gioielli e proprio in quel momento, prima che lei uscisse, una bomba colpì in pieno la villa. Era l’8 febbraio 1944.