La Stampa, 1 agosto 2020
Lampedusa ostaggio dell’eterna emergenza
Ci mancava solo la signora col cappellone di paglia e il barboncino, una tunisina «di ritorno» che sperava di farla franca travestendosi da ricca turista europea. Oppure i 26 migranti con barchino approdati serenamente tra i turisti incuriositi nella super-sorvegliata riserva dell’Isola dei Conigli. È capitato anche questo: e allora eccole, tra folklore, tragedia e propaganda, le ultime immagini in arrivo da Lampedusa, isola tornata nell’occhio del ciclone. Fotogrammi che si aggiungono a fotogrammi, una pellicola lunga anni. Un film confuso e a volte ingannevole.Facce e tragedie si mescolano e sfumano: Carola Rackete e la Finanza, i 368 morti del 2013 e Papa Francesco, poi gli sbarchi ed i turisti, le tv e i migranti, le missioni navali e le Ong, in un drammatico caleidoscopio che tutto confonde. Da che parte stanno i buoni e chi sono i cattivi? Ma soprattutto: andrà mai in secca questo fiume umano che ha trasformato Lampedusa in una sorta di negletta Ellis Island italiana? Ricominciamo da una foto, e da un impegno.«Nelle prossime 48-60 ore l’isola sarà abitata solo dai lampedusani. Ora basta con gli sbarchi», disse dal palco improvvisato e gli credettero, perché promise anche il premio Nobel per la pace, campi da golf e un casinò: erano anni ancora buoni per Berlusconi, che spesso le sparava ma talvolta poi faceva, e allora perché non poteva succedere anche a Lampedusa?Era il 30 marzo 2011, un marzo assurdamente afoso, e la “primavera araba” – con le sue illusioni e le sue contraddizioni – aveva rovesciato sull’isola migliaia di fuggiaschi e di imbroglioni che vagavano liberi e increduli per il paese, visto che il centro d’accoglienza era stato chiuso dal ministro dell’Interno del tempo (Maroni) perché tenerlo aperto poteva significare «che siamo pronti ad ospitarli». E così ad ospitarli – nei loro bar, a casa e per le vie del centro – dovettero essere i lampedusani. Come sempre, del resto.Silvio Berlusconi cadde rovinosamente quello stesso autunno, ma partire da quel mattino di fine marzo è utile a ricordare quanto quell’isola sia una implacabile cartina di tornasole delle responsabilità politiche e morali di tutti: e di quanto nessuno – da sinistra, dal centro e da destra; in Italia e soprattutto in Europa – possa alzare le mani e dire – in coscienza – «io sono innocente». Lampedusa, infatti, non riconosce più innocenti, e snocciola l’elenco infinito dei presunti colpevoli: Maroni, Alfano, Renzi, Minniti, Salvini, Prodi, Di Maio, Lamorgese... Non c’è un governo, un ministro, del quale salverebbero l’onore.Anche Salvini, sì. Perché nonostante l’affannarsi di qualche fan isolano, i lampedusani non la bevono. Da lì, uno scoglio nel canale di Sicilia, hanno giudicato subito i «porti chiusi» una politica che non poteva durare. Non è solo il fatto che a gente che vive di pesca e di mare non si possa prospettare come soluzione l’incubo di un porto negato, irraggiungibile: è che molti di quei porti chiusi (compreso il loro) poi li hanno visti riaprirsi, finito il rituale can can mediatico. E allora è la solita storia, hanno pensato. La solita toppa che è peggio del buco.Ma si è continuato a metter toppe: una da destra e una da sinistra. Diciamo Rigore contro Accoglienza: derby insulso con tutti sconfitti. Fu quel che cercò di raccontare Papa Francesco a Lampedusa, nel suo primo viaggio oltre Vaticano, giusto sette anni fa. Parlò da una tribunetta fatta con i resti delle barche dei migranti, denunciando il precipizio cui avrebbero condotto quelle che chiamò la globalizzazione dell’indifferenza e una cinica «cultura del benessere». La gente applaudiva, ma più per la gioia di averlo lì che per la speranza che le sue parole potessero cambiare anche solo una delle carte in tavola.Infatti nulla è cambiato. Anzi. Sull’isola sta andando in scena un grottesco ritorno al passato – agli anni ’80 e ’90 – con barchini di migranti che, in tutta autonomia, arrivano a frotte dopo aver traversato un Canale di Sicilia trasformato in un deserto assassino. Del resto, tra le coste nordafricane e quelle italiane non c’è più nulla: ritirate le missioni europee, ferme o sequestrate le navi Ong. Segnali di resa incondizionata. Oppure: meglio lavarsene le mani. E chi oggi parte dalle coste libiche o tunisine sa che l’alternativa è secca: o arriva o annega.In questi giorni di mare piatto, naturalmente arrivano. E accade, così, che le immagini degli sbarchi lampedusani tornino a fare il giro del mondo, riproponendo una tragedia che solo una tragedia temporanea ma maggiore – la pandemia – era riuscita occultare. E dunque a Parigi possono osservare il barchino coi 26 migranti che approda all’Isola dei Conigli (dove se ti avvicini, anche solo in canoa, ti multano) e a Berlino scrutare l’elegante signora tunisina col barboncino. Ci sarebbe da ridere, è vero: ma nessuno ce la fa.A Lampedusa meno che altrove. E soprattutto adesso, nel pieno di una stagione turistica che rischia di andarsene alla malora. Il nuovo-vecchio sindaco, Totò Martello (di sinistra, poi ecologista, quindi civico) non sa più a quale santo votarsi: «Ora lo stato di emergenza lo dichiaro io!». Ma viene contestato dalla sua nemica di sempre, Angela Maraventano – lampedusana doc ma leghista d’adozione – ex senatrice e famosa per uno sciopero della fame contro gli immigrati durato un solo mattino, e per questo battezzato «lo sciopero del cappuccino».Quanti eroi o anti-eroi ha sfornato l’isola durante gli anni di un’emergenza carsica, che Roma riscopre solo se utile per propaganda a poco prezzo? Giusy Nicolini, sindaco ecologista; Pietro Bartolo, il «medico dei clandestini», ora eurodeputato e oggetto di film; Dino De Rubeis, ex primo cittadino nei giorni di Berlusconi e adesso ai domiciliari per concussione; il parroco, don Carmelo, amato da Papa Francesco; l’infaticabile comandante della stazione dei carabinieri, De Tommaso...Donne e uomini invecchiati in questa guerra impossibile. E mentre altri andranno o arriveranno, aggiungendo nuovi fotogrammi, per loro il film non è finito. Avanti tutta, di toppa in toppa. Del resto è una vita che va così.