Robinson, 1 agosto 2020
Un trattato sulle nuvole
Il primo gennaio del 1974 il fotografo Luigi Ghirri scattò una fotografia al cielo e si ripeté in ognuno degli altri 364 giorni di quell’anno. Cielo, nuvole, sole, qualche uccello, qualche aereo: viste in sequenza nel libro che si intitola Infinito le foto compongono una sorta di romanzo. Le nuvole, innanzitutto le nuvole, sono infatti le protagoniste delle storie narrate dal cielo. Ben lo sapeva Carlo Emilio Gadda, che di nuvole sorgenti dietro manzoniane montagne ha cosparso i suoi racconti, alludendo per il tramite dei loro vapori a vicende non più umane. Fosco Maraini invece immaginava un cielo perennemente sgombro e un mondo orfano dei servigi delle nuvole in protezione termica e distribuzione idrica delle nuvole e concludeva: «Sarebbe è vero, un mondo perfettamente mondo d’immondo, ma nessuna forma di vita potrebbe sussistervi».
Già da ragazzo Maraini aveva scritto una poesia in cui aspirava a intraprendere viaggi seguendo «nuvole sognanti e gondoliere». Viene il dubbio, forse triviale, che se il futuro orientalista, alpinista, fotografo, scrittore avesse ricevuto dai suoi eccentrici genitori il nome di Sereno piuttosto che quello di Fosco forse sarebbe stato meno incline allo studio semiserio di nuvole, nebbie, caligini e – appunto – “foschie”. Difficilmente avrebbe poi esteso e firmato un Nuvolario come quello a nome di Fosco della cui ultima edizione ora disponiamo.
Il testo è precedente, ma la storia del libro come lo conosciamo oggi cominciò in un giorno del maggio del 1994, quando dopo aver toccato il tema delle nuvole conversando con la figlia Toni, Fosco porse a quest’ultima un suo opuscolo pubblicato a Firenze nel 1956, intitolato Principii di Nubignosia Analitica e Differenziale.
Si presentava come un estratto dagli Atti del Sesto Congresso di Nimbologia. Nell’introduzione all’attuale edizione la figlia Toni spiega che la stesura del testo va retrodatata al 1947, quando il 35enne Fosco era riuscito a ricondurre la famiglia in Italia dopo il terribile periodo passato in Giappone. I Maraini presero casa in un paese del palermitano, vicino al mare, Fosco diede requie alla sua vocazione di giramondo e si dispose a osservare le nuvole senza sognar più – per il momento – di seguirne le immaginarie gondole celesti. Era venuto il momento dei viaggi mentali.
Nella prima metà del Novecento la cultura era vissuta di movimenti, correnti, riviste, manifesti, associazioni a volte seriose come accademie ( Bourbaki), a volte burlesche come circhi ( la patafisica), a volte semiserie come accademie circensi ( Dada). Un certo spirito del tempo fece così immaginare a Maraini una disciplina dedita a uno studio non meramente meteorologico delle nuvole. La chiamò “Nimbologia” e ne approfondì la sua sezione particolarmente dedicata al riconoscimento e alla catalogazione tipologica dei fenomeni, la “Nubignosia”. Lo humour che lo animava era duplice. La spinta a parodiare dibattiti accademici lo portò a inventare nomi di esperti ( il Pensabenini, il Luogocomune, Von Ap Und Zu Wolkenpuff, titoli di trattati La nimbologia e le Sacre Scritture), dissensi, scissioni, anatemi. Questo è l’aspetto goliardico del testo di Maraini; non è l’unico, per fortuna: a rendere delizioso quello che altrimenti sarebbe rimasto un curioso divertissement è il fantasioso spirito tassonomico e nomenclatorio che innanzitutto ha portato l’autore a raggruppare i “vapori dell’atmosfera” in tre sezioni, individuate in rapporto alla posizione dell’osservatore umano. Gli Iperonti stanno sopra di noi, sono le nuvole stesse; i Perionti ci circondano (nebbie e foschie); gli Iponti sono infine i vapori che osserviamo dall’alto ( per esempio, stando in montagna o anche in aereo). La sottoclassificazione degli Iperonti, che occupa la gran parte del libro, prevede diciotto fattispecie, molte delle quali ulteriormente articolate. I tipi di nuvola guadagnano nomi come “Graffi e Ragnatele”; “Canizie di Patriarca”; “Piume di Fuoco”, “Nudi e Frutta” – che sono nuvole lascive, descritte dalla “scuola indiana” di “Ciandra Baciabadur”, di cui Maraini si diverte a riportare una pagina, un suo pastiche di delirante erotismo come un Cantico dei cantici nimbologico.
In quel maggio del 1994 in cui i Principii uscirono dall’archivio di Maraini, la figlia Toni li mostrò all’editore Samer che volle pubblicarlo con il nuovo titolo concordato con l’autore. Era così nato il Nuvolario. Quello fu anche l’anno di una nuova edizione delle Fànfole, le irresistibili poesie “metasemantiche” di Maraini di cui quasi non ci si ricordava, non fosse stato per Gigi Proietti che ne usava recitare la più famosa, Il lonfo: «Il lonfo non vaterca, né gluisce / e molto raramente barigatta...».
Nuvole nel cielo, fanfole sulla terra: a testimonianza di quali distanze una vocazione esplorativa di adeguata ma non comune