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 2020  luglio 30 Giovedì calendario

Voglia di fotoromanzo. Torna la rivista Sogno

Negli anni del Boom, e per un paio di decenni ancora, Sogno è stata una delle tre riviste - con Bolero e Grand Hotel - che si contendevano a colpi di milioni (di copie) il mercato del fotoromanzo. In palio un pubblico per lo più femminile, fedelissimo e affamato d’amore e sentimenti, che non perdeva una puntata di quei «romanzi d’amore a fotogrammi» e decretava un successo da star hollywoodiana agli interpreti di quelle storie. Si trattava di un fenomeno super popolare che si è però esaurito all’alba del nuovo millennio, seppure non del tutto sparito: Grand Hotel esiste ancora, ancora pubblica fotoromanzi e continua ad avere tirature che molti gli invidiano.
Nato nel 1947, tra alterne vicende, Sogno aveva resistito fino a circa un decennio fa, poi la casa editrice che lo realizzava, Lancio, era definitivamente fallita e la testata finita in mano a un curatore fallimentare. Fino all’altro ieri, però. Mario Sprea, che vi lavorò per decenni, e il figlio Luca l’hanno rilevata ed è da un anno che lavorano per la sua rinascita.
Sogno è tornata così in edicola dal 24 luglio. E torna proponendo, alternati a servizi di attualità, interviste ed enigmistica, gli stessi fotoromanzi con gli stessi attori degli anni d’oro: le sorelle Rivelli, Claudia e Francesca (che diventerà poi famosa come Ornella Muti), Franco Gasparri, Paola Pitti e Katiuscia (le sorelle Piretti), Michela Roc, Pierre Clement, Vittorio Richelmy. Agli albori della sua carriera anche Sofia Loren, allora Sofia Lazzaro, posò per Sogno: una copertina che le fu dedicata è esposta al Moma.
«È una scommessa, ma ci credo: quelle storie sono sempre moderne e attuali. C’è il pubblico di allora e ci sono i più giovani che le scoprono con curiosità» dice Mario Sprea. Centottanta mila copie, uscita settimanale, copertina del primo numero dedicata a una delle massime star della Lancio, Katiuscia, l’impresa è stata titanica. Di una rivista fatta di foto, le pellicole originali non esistono più. «Per riprodurre le vecchie storie abbiamo fatto un gran lavoro di ricerca presso i collezionisti, poi via di scanner e photoshop. La differenza quasi non si vede».