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 2020  luglio 30 Giovedì calendario

Le ultime 24 ore di Van Gogh

Metro più, metro meno, là dove la strada curva in leggera salita e grosse radici affiorano dal terrapieno. In quel punto di rue Daubigny, a Auvers-sur-Oise, comune di settemila abitanti a nordest di Parigi, Vincent van Gogh sistemò il suo cavalletto e diede l’ultima pennellata al suo ultimo capolavoro, «Radici d’albero», la cui vernice non era ancora asciutta quando, poche ore dopo, il pittore si sparò al torace, il 27 luglio 1890.
Senza il coronavirus, senza il lockdown e l’inevitabile sospensione degli impegni quotidiani, forse il segretario generale e direttore dell’Istituto Van Gogh, Wouter van der Veen, non avrebbe avuto il tempo di esaminare alcune vecchie cartoline del primo ‘900 che raffigurano i luoghi dell’ultimo viaggio di Van Gogh. E, in particolare, una vecchia fotografia in bianco e nero di un uomo che, verso il 1910, spinge la sua bicicletta davanti a un groviglio di radici che, ai suoi occhi, hanno qualcosa di famigliare. Un déjà-vu.
Van Gogh era arrivato a Auvers-sur-Oise settanta giorni prima di morire, il 20 maggio, appena dimesso dall’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy-de-Provence. Si era installato nella stanza numero 5 all’ultimo piano dell’Auberge Ravoux, una locanda nella piazza del municipio e oggi un piccolo museo. Aveva 37 anni, soffriva di depressione, schizofrenia, disturbo bipolare, secondo le diverse diagnosi postume formulate attraverso la fitta corrispondenza con il fratello Theo. Cercava sollievo dai suoi fantasmi e dalle sue ossessioni nelle cure di un medico del villaggio, Paul Gachet, cui avrebbe dedicato uno dei suoi famosi ritratti. Durante il suo soggiorno produsse 33 disegni e 72 dipinti, l’ultimo dei quali, secondo gli studiosi, è proprio «Radici d’albero», conservato al Museo Van Gogh di Amsterdam.
È alla direttrice del museo, Emilie Gordenker, e alla presidente della Fondazione Van Gogh di Arles, Maja Hoffmann, che Wouter van der Veen confida la sua emozionante osservazione: nella vecchia fotografia e nel quadro c’è un dettaglio identico. «La configurazione delle radici e dei tronchi sulla cartolina postale corrisponde a quella del dipinto» precisa. Centotrent’anni dopo qualche albero non c’è più, ma il ceppo più grosso ha resistito ai tagli e alle intemperie, nascosto sotto l’edera. Il bosco ceduo che ha ispirato Van Gogh, a 150 metri dall’albergo Ravoux, è vivo e ancora ben riconoscibile, come ha constatato il ricercatore quando, a fine reclusione, è potuto correre a Auvers.
Sovrapposte al pc le immagini combaciano. Ma, quel che più importa, il quadro e la sua luce finalmente raccontano. Raccontano dov’era Van Gogh nelle ultime ore di vita, che il sole stava tramontando e che con quelle radici l’artista lasciava il suo testamento. «Per lui rappresentano la battaglia fra la vita e la morte», analizza Dominique-Charles Janssens, presidente dell’Istituto Van Gogh, ai microfoni di BFMtv. I tronchi possono essere spezzati, ma le radici generano nuovi germogli. Analoga battaglia si stava combattendo dentro il pittore, ma fu conclusa da un colpo di pistola e due giorni di agonia. Il dipinto, insomma, testimonia a favore del suicidio e contro le ipotesi di omicidio o di incidente che si sono susseguite.
Dopo l’annuncio ufficiale a Auvers, alla presenza di Willem van Gogh, pronipote di Theo, le radici ritrovate sono protette da pannelli per evitare che i cacciatori di reliquie e souvenir distruggano ciò che il tempo ha preservato.