Il Messaggero, 30 luglio 2020
Zadie Smith: «Il virus è disprezzo»
«La mappa del virus nei quartieri di New York diventa più rossa precisamente nelle stesse aree che si colorerebbero se la sfumatura di scarlatto misurasse non la diffusione del contagio e la mortalità ma le fasce di reddito e la qualità delle scuole». E di seguito: «La morte prematura non è quasi mai stata un fenomeno casuale, in questi Stati Uniti. In genere ha avuto una fisionomia, una collocazione geografica e un reddito molto precisi. Per milioni di americani la guerra c’è sempre stata».
In apertura dell’intensa raccolta di sei saggi brevi, scritti fra marzo e maggio nella fase acutissima della pandemia, Questa strana e incontenibile stagione (Sur, 95 pagine, 8 euro, traduzione di Martina Testa), Zadie Smith, classe 1976, nata nel sobborgo londinese di Willesden, da padre inglese e madre giamaicana, coglie così la questione chiave, che non riguarda soltanto l’America: la catastrofe del Coronavirus richiede un nuovo inizio. Non si tratta di riavere la vita di prima.
LE GERARCHIE
La crisi globale innescata dall’epidemia ha sostanzialmente confermato, se non rinsaldato, le gerarchie sociali, politiche ed economiche preesistenti. Ora però la morte, spesso prima celata, non è più soltanto una questione privata. La gestione del fronte sanitario solleva proprio il tema del rapporto tra interesse pubblico e privato, come quest’ultimo non possa prevalere anche fuori dall’emergenza.
L’autrice di Denti bianchi e altri quattro romanzi, due volte candidata al prestigioso Man Booker Prize, nella sua seconda raccolta di saggi dopo Feel Free, insignito del National Book Critics Circle Award, non schiva l’analisi dell’assassinio da parte di un agente di polizia dell’afroamericano George Floyd, che insieme alla pandemia ha segnato la società statunitense negli ultimi mesi. In questo caso l’avversario spesso letale è un altro virus: il disprezzo. Smith si chiede se esista un desiderio abbastanza forte di un’America diversa: «La domanda è diventata: gli Stati Uniti hanno metabolizzato il disprezzo? Convivono con il virus da così tanto tempo che non lo temono più?».
Dal tunnel della segregazione non sembra esserci la volontà reale di uscirne. Smith sottolinea questa distanza anche sul fronte progressista: «Sono ben felici di annerire i loro social media per un giorno, di leggere libri solo di autori neri, purché questa cultura non prenda la forma di bambini neri reali che frequentano le loro scuole reali».
E alla radice c’è la disuguaglianza innanzitutto economica. La discrepanza di reddito tra i bianchi e i neri è più importante oggi di quanto non lo fosse nel 1963, all’epoca della marcia su Washington, mentre le scuole del Sud sono più segregate ora di quanto non lo siano state negli ultimi quarant’anni.
Nella riflessione sugli effetti della pandemia, Smith, che insegna scrittura creativa alla New York University, posa e allarga lo sguardo sulla generazione che dovrebbe essere il motore del cambiamento.
IL TECNICO
Il capitolo Un giovane sospeso a mezz’aria, che ha come protagonista il tecnico informatico universitario Cy, restituisce pienamente lo stato d’incertezza del nostro tempo con una frase incisiva: «Le infinite potenzialità dei giovani americani potenzialità elaboratamente raccontate dai film, dalla pubblicità e dalle brochure di presentazione dei college sono una menzogna senza senso da tanto di quel tempo che vedo i miei studenti scherzarci su con una forma di humour nero che sarebbe più adatta a degli uomini anziani, a dei reduci di guerra».
Smith osserva, premettendo la propria condizione di privilegio, come la parola crisi sia ormai stata interiorizzata come uno stato permanente e anche le giovani esistenze più promettenti sembrano danzare sul perimetro di un grande vuoto. La dimensione politica non è predominante nei suoi scritti, ma ha le idee chiare sul respiro ideale e lo stato attuale dell’offerta politica: «Che sognatori modesti siamo diventati».
Negli anni, Smith ha prodotto riflessioni interessanti intorno al concetto di creatività, sul quale torna in questi saggi, fissando almeno tre cose. La creatività è ben altro dal saper trovare il pubblico perfetto per vendere il prodotto perfetto. Ci piace pensare che le arti creative rappresentino una forma di ribellione contro l’andamento delle cose, mentre il più delle volte non fanno altro che rafforzare lo status quo. La nostalgia avversa la creatività, soggiogandola.
LA DEFINIZIONE
A proposito di creatività in Questa strana e incontenibile stagione Smith aggiorna anche la propria definizione di scrittura: «Viene abitualmente descritta come un’attività creativa: ma a me non è mai sembrata la parola adatta. Piantare tulipani è creativo. Piantare un bulbo significa partecipare in piccola misura al miracolo ciclico della creazione. La scrittura è controllo. Cerchiamo di adattarci, di imparare e fare spazio, a volte di resistere, altre volte di sottometterci, a ciò che ci troviamo davanti. La scrittura è tutta resistenza».
In appendice al breviario, Smith costruisce una sorta di mappa di storie e persone che è utile per orientarsi nel suo percorso e nei suoi testi. Riprendiamo l’ispirazione fondamentale di Zora Neale Hurston. Con il lavoro di ricerca dell’etnografa Hurston la diaspora africana nelle Americhe si è affermata come una risorsa culturale irrinunciabile. Nelle opere di Hurston c’è l’idea di osare inventare l’avvenire, usando la lingua e il vocabolario di chi ha vissuto un’oppressione plurisecolare.