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 2020  luglio 29 Mercoledì calendario

Ritratto di Giorgia Meloni

Blu d’occhi e rosa di sondaggi: da un anno Giorgia Meloni si cucina fischiettando quel tonno di Salvini sulla padella della destra italiana. Di mese in mese, di citofono in mojito, bada che il suo Matteo continui a crogiolarsi inconsapevole coi selfie e che il fuoco resti al minimo. Dai giorni del Papeete a quelli del Covid, il Capitano è regredito Sergente, perdendo 12 punti. La Meloni da guerriera si è fatta principessa e di punti ne ha guadagnati 10. Ora stanno 23 a 18. Con questo ritmo, ci sarà il sorpasso. E con il sorpasso una destra meno carognona, arraffona e inquisita a giocarsi il futuro dell’Italia tricolore che fa il muso lungo all’Europa, ma incassa con entusiasmo i suoi vantaggi. Straparla di Soros “l’usuraio”, ma si gode i vantaggi del bazooka della Bce, la Banca centrale, che da anni paga un bel po’ dei nostri stipendi e dei nostri privilegi.
Giorgia Meloni, a parte gli occhi e il carattere di ferro, di privilegi ne ha avuti pochini. È nata nel pieno degli scontri di piazza, anno 1977, ma deve averne respirato i feromoni ostili, e a 15, per ripicca e anticonformismo, si è infilata nei residui della destra romana nostalgica di un passato missino non proprio edificante, anche se già ripulito dagli ultimi anni di Almirante che si era tolto la camicia nera, consegnando il suo ultimo doppiopetto al primo tra i colonnelli, Gianfranco Fini, il moderato. Il quale perfezionò lo spegnimento della Fiamma nelle acque di Fiuggi, inventandosi Alleanza nazionale, proprio mentre la giovanissima Giorgia prendeva il volo coi Gabbiani, che poi erano i post-post fascisti della sezione Colle Oppio, tristemente nota.
“Ero piccola, arrabbiata e tosta”, racconta, rievocando i suoi primissimi anni, trascorsi prima alla Camilluccia – “andò a fuoco la casa, fu colpa mia, giocavo con una candela accesa, incendiai le tende e tutto il resto” – poi alla Garbatella, quartiere di popolo e tifo romanista, un paesone dal cuore familista nella grande città impersonale dei Palazzi e del potere. Lei cresciuta monella in un protettivo gineceo: la nonna, la mamma, la sorella, la gatta. Il padre commercialista sparito con la barca a vela alle Canarie, dove pare abbia aperto un ristorante, lasciandosi dietro tutti i conti affettivi da pagare. “Avevo tre anni e neanche me lo ricordo”. Sembra uno scherzo, ma era l’unico comunista di famiglia. E dunque oltre al vuoto ha lasciato anche buoni motivi per veleggiare più a destra possibile dalla sua ombra. Più o meno dalle parti di Paolo Borsellino, il giudice: “Lo ammiravo e quando nel 1992 è stato ucciso dalla mafia ho deciso di impegnarmi”. Entra nel Fronte della gioventù. Nel suo Istituto alberghiero, l’Amerigo Vespucci, fonda il coordinamento studentesco degli Antenati. Parla alle assemblee anche quando non la lasciano parlare. A 18 anni diventa responsabile nazionale degli studenti di destra. Legge Tolkien. Sogna elfi e hobbit. Si incanta alle avventure di Atréju, il ragazzo in guerra contro il Nulla nel paese di Fantàsia. Nella sua camera, e poi nella vita, colleziona angeli di gesso, di legno, di cristallo, “ne ho più di trecento”, dice oggi, ma fuori casa le interessano solo i satanassi della politica. Per mantenersi fa la barista al Piper. La cameriera. La babysitter, una volta anche a Olivia, la figlia di Fiorello. Per il resto vive in sezione. Organizza presìdi e attacchinaggi. Fuma due pacchetti di sigarette al giorno. E se qualcuno si azzarda a trattarla da mascotte, lei lo dissuade: “Quando mi arrabbio dico molte parolacce. Sono incazzosa. Sono lunatica. Sono un Capricorno”.
Fini la sceglie come sua pupilla. A 21 anni è consigliere provinciale. A 27 parlamentare. A 31 il più giovane ministro di sempre, dicastero della Gioventù, quarto governo Berlusconi, l’ultimo, quello che manda in malora i conti di tutti gli italiani, ma non i progetti di Giorgia Meloni.
La quale non ci pensa due volte a mollare il sultano di Arcore, travolto dallo spread e – come direbbero alla Garbatella – dalle mignotte. E nemmeno a voltare le spalle a Fini, quando va a fondo, senza bombole, con tutto il mobilio della casa di Montecarlo, bye bye giovinezza, inventandosi il nuovo inizio di Fratelli d’Italia. Che alla prima occhiata sembra una pattuglia raccogliticcia. C’è il vecchio arnese di Ignazio La Russa, passato dai picchiatori della sezione milanese di via Mancini, alle sventole del Gilda, apoteosi del generone di bisboccia e di governo. E c’è Guido Crosetto, detto il Gigante buono, anche se buono mica tanto, vista la sua passione per le armi, quelle in formato grandi appalti, che passano per il ministero della Difesa della sua amica Roberta Pinotti, gli stati maggiori, le aziende aerospaziali.
Con loro si inventa una destra centrista. Va in battaglia contro Monti, Gentiloni, Letta, Renzi: tanti nemici, tanto onore. Attacca la Fornero e dà del bamboccione a Tommaso Padoa-Schioppa. Ma prende le distanze dalla Lega: “Noi siamo un’altra cosa”. E non cambia idea sui grillini, “dilettanti allo sbaraglio”. Quindi non entra nel primo governo Conte, quello Salvini-Di Maio. E incassa consensi durante il secondo. “Ci ripagano per la coerenza”. Si congeda definitivamente dal fascismo: “La libertà e i diritti civili valgono più delle bonifiche pontine”. Si dichiara cristiana, anche se non le garba papa Francesco, la sua accoglienza la chiama “sostituzione etnica”. È per la linea dura sull’immigrazione, blocco navale in tutto il Mediterraneo, anche se non spiega come. Condanna l’aborto e il divorzio. Ma a forza di difendere la famiglia tradizionale, ne ha formato una a sua misura, con figlia e convivente. Realismo e insieme ordinaria ipocrisia. Ha i numeri per salire ancora. A offrire un patto di collaborazione al governo per il “rilancio Italia”, mentre Salvini naviga verso la tonnara. Peccato la sua ossessiva retorica della patria. Il mantra del tricolore, del sacro suolo. Dovrebbe sapere che il nazionalismo è una fiamma pericolosa, un po’ di disattenzione e vanno a fuoco le tende e le nazioni.