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 2020  luglio 29 Mercoledì calendario

Biografia di Pellegrino Artusi

Nato a Forlimpopoli il 4 agosto 1820, vanto della Romagna anche se nel 1851 è costretto a trasferirsi in Toscana per le conseguenze di una violenta rapina subita dalla sua famiglia, commerciante di seta, scapolo, amante dei gatti – la prima edizione de La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene , anno domini 1891, la dedica «a due de’ miei migliori amici dalla candida pelle, Biancani e Sibillone», i felini che stavano con lui nella casa di Firenze – Pellegrino Artusi oggi è considerato il padre della cucina italiana. Ma in vita si è dovuto difendere. Perché, come tutti i pionieri, si stava occupando di qualcosa di incomprensibile per la cultura del tempo. Anzi, addirittura di poco importante, tanto che nessuno voleva dare alle stampe il suo lavoro.
Di che cosa si trattava? Ebbene: di una monumentale raccolta di ricette. Non solo: anche di un manuale sulla cucina come «nutrizione» – «un bisogno fondamentale dell’uomo insieme alla propagazione della specie, perciò ben venga chi la studia e suggerisce norme per soddisfare questa necessità nel modo migliore possibile», si legge nel volume —, di un trattato sulle regole igieniche (quanta attualità!) e sul gergo tecnico (nel prologo c’è un vocabolario con i termini base da padroneggiare). Un’opera rivoluzionaria a cui l’Artusi si dedica dal 1865 – anno in cui, ormai ricco, smette di vendere tessuti – fino alla morte, avvenuta nel 1911. Ogni giorno, con l’aiuto dei fidati domestici Francesco Ruffilli (cuoco) e Marietta Sabatini (governante), Artusi testa le ricette regionali incontrate durante le sue trasferte di mercante, ne annota aggiustamenti e variazioni, trascrive le preparazioni senza mai dimenticare di fornire aneddoti e contesto.
Ecco, l’uomo che oggi è salutato come il primo vero gastronomo, colui che ha sistematizzato il patrimonio culinario italiano «facendo per l’unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare i Promessi Sposi», come ha scritto lo storico Piero Camporesi, all’epoca in cui lavorava al suo libro-summa ha dovuto giustificare la sua passione per la tavola. «Non vorrei però che per essermi occupato di culinaria mi gabellaste per un ghiottone o per un gran pappatore; protesto, se mai, contro questa taccia poco onorevole, perché non sono né l’una né l’altra cosa. Amo il bello ed il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata, come suol dirsi, la grazia di Dio. Amen», si legge nella prefazione alla prima edizione. Edizione che – come anche le successive – l’Artusi paga di tasca propria, vista la diffidenza degli editori. Alla fine La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene viene pubblicato dalla Tipografia Landi e distribuito dalla casa editrice Bemporad di Firenze. La diffusione è lenta, ma l’autore comincia a ricevere lettere incoraggianti da tutta Italia. C’è chi lo ringrazia per aver spiegato un piatto, chi lo bacchetta per averlo «tradito», in ogni caso è questo carteggio continuo a nutrire per trent’anni la conoscenza gastronomica dell’Artusi. Una materia viva che porterà a 15 edizioni del libro e a un bacino crescente di ricette: dalle 475 originarie alle 790 della versione postuma.
Oggi è Casa Artusi, il centro culturale di Forlimpopoli dedicato al celebre cittadino, a conservare questa corrispondenza. E ad organizzare per il bicentenario dalla nascita vari festeggiamenti, concomitanti con la Pink Week (cene, incontri, spettacoli in piazza...). Il 9 e 10 ottobre ci sarà anche un convegno sulla «ricetta liberata»: l’idea, cioè, che la preparazione di un piatto non sia un semplice insieme di istruzioni ma un racconto. Un altro miracolo della modernità dell’Artusi.