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 2020  luglio 28 Martedì calendario

Due anni fa moriva Marchionne. Parlano i suoi top manager

Il 25 luglio 2018 Sergio Marchionne spirava all’ospedale universitario di Zurigo, dov’era stato ricoverato un mese prima per un sarcoma alla spalla di tipo invasivo (i sarcomi sono tumori maligni del tessuto connettivo). È stato un manager che ha indubbiamente raggiunto risultati eccezionali. Come lo ricordano?
Un suo stretto collaboratore, Antonio Baravalle, dice: «In Fiat aveva già fatto piazza pulita di una quindicina di colleghi. Mi chiese che cosa ne pensassi dell’azienda. Dissi che Lancia andava chiusa. E mi nominò direttore di Lancia. Marchionne era così, un simpatico matto totale, uno distruttivo e costruttivo al tempo stesso, capace di rompere gli schemi ma di trovare soluzioni, lasciando liberare l’entropia positiva dell’ambiente in cui lavorava. Così rischiò mettendo ai vertici del gruppo dei quarantenni». Un acuto osservatore politico-economico, Peppino Caldarola, già direttore de l’Unità e oggi direttore della rivista Civiltà delle macchine, lo definisce: «Un uomo di organizzazione e finanza, che ha avuto una straordinaria immaginazione nell’epoca in cui la principale fabbrica italiana era fallita… La sua fabbrica era moderna, disciplinata, operosa. Perché allora tanta reticenza nel dire che Marchionne era un grande italiano? Perché lasciare alla destra, a questa destra razzista e sovranista, l’eredità di un uomo che ha fatto il migrante e che era un vero cittadino del mondo?».

Un suo stretto collaboratore fu Alfredo Altavilla, che lasciò Fca dopo la morte di Marchionne: «Quando Sergio ci ha annunciato il primo trimestre positivo della Fiat Auto, con un utile minimo ma che arrivava dopo anni in cui i bilanci segnavano solamente cifre negative, in rosso fisso, egli sorprese tutta la squadra, fece portare una grande torta e lo spumante per festeggiare. Sapeva condividere i successi con noi, trasmettendoci energia e positività».

Poi l’acquisizione della Chrysler: «Uscì dalla riunione per vedere in televisione la conferenza di Obama che annunciava agli Stati Uniti la fusione tra Chrysler e Fiat Auto, sottolineando che il Lingotto era l’azienda più rispettabile d’Italia e che l’attuale management aveva realizzato un notevole rilancio. Ci siamo abbracciati, davanti a tutti gli ospiti americani, con le lacrime agli occhi». Infine la testimonianza di un altro top manager, Gianni Cola, che all’edizione torinese del Corriere della Sera racconta: «Una notte mi spedisce un messaggio alle tre, lo leggo solo al mattino intorno alle sei. Ho l’abitudine di alzarmi molto presto: «Dobbiamo anticipare la riunione alle 7,30», scrive Sergio. Arrivo in tempo al meeting. Appena entro nella sala riunioni lui mi guarda e mi fa: «Come mai non hai risposto subito ieri notte?». Sì, era un uomo piuttosto esigente.

Tra i ricordi ho le spaghettate di notte, a casa sua, in piazza Vittorio e poi alla Crocetta, a Torino. Qualche week end a Crans-Montana in Svizzera, dove aveva la famiglia. Cucinavamo assieme, i manager ai fornelli possono essere molto divertenti. E cucinavamo cose semplici come la pasta al sugo. Perché il migliore di tutti era un ragazzo semplice. E forse per questo era il migliore di tutti».