Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  luglio 28 Martedì calendario

Intervista ad Arnaldo Benini

Non sai se ci si può fidare del tempo. Quello degli orologi in fondo è solo una convenzione. È un modo per dare un ritmo alla giornata. Il tempo lo scandisci e lo occupi. Le equazioni dei fisici ti dicono che il tempo non esiste. È una dimensione dello spazio. È relativo. La teoria della relatività ristretta di Einstein mostra che lo «spaziotempo» è la struttura dell’universo. È in questo «palcoscenico» che le cose accadono. Il tempo sarebbe un’illusione. Non è reale. Solo che non è così facile congedarsi dal tempo, perché noi il tempo lo pensiamo, lo viviamo. La mente il tempo lo crea.
Per affrontare questo breve viaggio, è solo un punto di partenza, alla ricerca del tempo serve una guida, non una qualsiasi, ma un uomo che da tutta una vita cerca di risolvere gli enigmi di quella macchina prodigiosa che è il cervello umano. È Arnaldo Benini e non smetteresti mai di ascoltarlo. Il suo ultimo saggio, pubblicato da Raffaello Cortina Editore, è Neurobiologia del tempo.
La prima scoperta è che noi passiamo la vita a viaggiare qua e là tra il presente e i ricordi.
Perché il cervello è una macchina del tempo?
«Perché il senso del tempo è un prodotto di meccanismi nervosi».
La neurobiologia risponde così a un antico dilemma: il tempo è dentro o fuori di noi?
«Per oltre due millenni riflessioni e discussioni sul tempo furono filosofiche e teologiche (la famosa disputa sul tempo fra Newton e Leibniz fu di carattere religioso), e non chiarirono nulla. I fisici, da Newton in poi fino ad ora, hanno discusso del tempo senza mai nemmeno chiedersi che cosa esso sia e da dove venga. Ora i fisici, da un secolo a questa parte, sostengono che il tempo, di cui ignorano la base biologica, non esiste. Il primo a capire la natura del tempo, anche se non parlò di cervello, fu Immanuel Kant, per il quale il tempo è una proprietà del corpo e non del mondo. È, disse, una forma del nostro senso interno e non un dato dell’esperienza. Pochi decenni più tardi, nel 1849, lo scienziato tedesco Hermann von Helmholtz, profondo studioso di Kant, con un semplice esperimento individuò e collocò l’apriori del tempo nei meccanismi del cervello. Nel frattempo la biologia comparata ha scoperto che tutti gli esseri viventi con sistema nervoso hanno il senso del tempo, anche se non numerico. Anche esseri con sistema nervoso minuscolo, come api e formiche, hanno uno straordinario senso del tempo, senza il quale la loro disciplinata e complessa vita sociale non sarebbe mai stata possibile. Una precisazione linguistica: il tempo è creato al cervello, e per questo è corretto dire che si sente e non che si percepisce».
Che cos`è il tempo perduto?
«Il cervello crea il senso del tempo, e lo manipola in molti modi. Uno di questi, che configura il rapporto della coscienza col mondo e con la nostra interiorità, è la compressione del tempo. Fra qualunque stimolazione e il divenirne coscienti trascorre un certo tempo, fino a mezzo secondo, necessario ai meccanismi nervosi per elaborare lo stimolo e trasmetterlo ai centri della coscienza nei lobi frontali. Di quell’intervallo, di quel tempo, non abbiamo percezione. È perduto, per la coscienza e per la memoria. La simultaneità del presente è un’illusione dovuta alla compressione del tempo nel cervello. Per il grande neuro-fisiologo Gerald Edelman il presente è sempre ricordato perché ne diventiamo coscienti quando è trascorso. Viviamo nel passato».
Come corrono le informazioni nel nostro corpo? Come si trasmettono?
«Le informazioni sono diverse, coscienti e non coscienti, qui ci limitiamo a quelle nervose coscienti. Se veniamo toccati simultaneamente in faccia e al piede, siamo certi di esserne coscienti nel momento in cui ciò avviene. Doppia illusione: fra lo stimolo e la coscienza di esso passa da un terzo a mezzo secondo; inoltre lo stimolo al piede, che percorre i nervi della gamba, il midollo spinale e quello allungato, impiega molto più tempo ad arrivare alla corteccia cerebrale sensitiva rispetto alla faccia, eppure vengono avvertiti come simultanei. Quando ascoltiamo qualcuno che parla, la percezione acustica e quella visiva delle labbra che si muovono è simultanea, ma il suono viaggia molto più lentamente della luce e i meccanismi cerebrali visivi e acustici richiedono tempi diversi. Di queste differenze, di questo tempo perduto, non siamo consapevoli. Il cervello può manipolare il tempo perché lo crea».
I ritardatari, scrive lei in «Neurobiologia del tempo», sono in parte giustificati. Perché?
«Il dubbio mi venne dopo che un mio giovane paziente, operato di un tumore benigno al cervelletto, pur essendo clinicamente guarito, era diventato un incorreggibile ritardatario. A quei tempi del ruolo del cervelletto nel sentire il tempo non si sapeva nulla, oggi invece si sa quanto sia importante. L’inguaribile ritardatario può avere alcuni centri del senso del tempo, che sono sparsi in entrambi gli emisferi e nel cervelletto, non perfettamente sviluppati. Una conferma che noi siamo, nel bene e nel male, come il cervello ci fa essere».
Nel cervello c’è anche una sorta di ufficio musicale. Come funziona?
«Nella corteccia acustica primaria dei lobi temporali ci sono sei aree, con intensi e fitti collegamenti nervosi, che reagiscono selettivamente ai suoni. Quattro riflettono le caratteristiche fisiche di ogni suono (frequenza, tono, ecc), la quinta struttura s’attiva solo al linguaggio parlato, la sesta, nella profondità di un solco della corteccia acustica, solo alla musica, non importa se melodica, dodecafonica, pop, rap, jazz, Chopin, Ravel, Morricone. La struttura per la musica reagisce a ciò che ha un ritmo (come un fischio modulato), anche se non piace. La corteccia specifica per la musica non reagisce a nessun altro suono. Lo stesso vale per la struttura dedicata al linguaggio parlato: si attiva per tutti i linguaggi, anche se incomprensibili, e a nessun altro stimolo. Se ascoltiamo chi parla una lingua a noi ignota, capiamo di regola se sta parlando o emettendo suoni senza significato. Solo nel primo caso è attiva l’area del linguaggio. Musica e linguaggio parlato hanno un organo d’accesso selettivo ai lobi temporali, intensamente connesso con le aree della memoria, del linguaggio nell’emisfero dominante e con quelle della valutazione e del piacere estetico nel sistema limbico e nell’emisfero cerebrale destro».
Il passato si trasmette attraverso i geni?
«Si trasmette alla propria coscienza e si racconta agli altri ciò che è depositato nelle aree cerebrali della memoria. No, un ricordo non è trasmesso dai geni».
Il cervello è anche un cartografo, archivia mappe. Ci racconta la storia della nocciolaia e dei tassisti di Londra?
«La nocciolaia di Clark, uccello della famiglia dei Corvidi diffuso nell’America del Nord, nasconde il cibo (di regola pinoli) sottoterra, in migliaia di posti diversi, e lo va a riprendere anche dopo mesi, mostrando memoria spaziale e senso della durata, cioè memoria temporale. La nocciolaia ha la parte posteriore dell’ippocampo destro, organo fondamentale della conoscenza spaziale e del senso del tempo, più voluminosa che in altre specie. Questa variante anatomica è stata rilevata anche nei tassisti di Londra, che devono sapersi destreggiare in dedali di strade, stradine, sensi unici e divieti».
Che cos’è un dèjà vu?
«È una forma di paramnesia nella quale la persona ha la sensazione di rivivere scene mai vissute. L’ho osservata in pazienti affetti da epilessia del lobo temporale, che di regola raccontavano la loro esperienza con grande enfasi».