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 2020  luglio 28 Martedì calendario

Steven Soderbergh, il cinema e il virus

Il cinema indipendente salverà Hollywood. È quel che sostiene Steven Soderbergh, 57enne regista mainstream con titoli come Ocean’s Eleven e Erin Brockovich partito però trent’anni fa, e bene (Palma d’Oro a Cannes) con Sesso, bugie e videotape , massimi risultati con minimo budget. Poi i quattro Oscar per Traffic (2000). A lui la Director’s Guild of America (la corporazione dei registi di cinema e tv Usa) ha affidato la guida della task force incaricata di esplorare una possibile soluzione per la ripresa delle produzioni bloccate dalla pandemia. 
Del regista si è parlato molto ultimamente anche per la nuova popolarità del film Contagion del 2011, con cui aveva praticamente previsto l’emergenza virus.
Come siete riusciti ad essere così precisi con quel film?
«Quando lo sceneggiatore Scott Burns mi ha proposto il film ci siamo detti: lo facciamo solo accurato e basato sui fatti. Il professor Lipkin ha accettato di farci da consulente a patto che la storia non fosse su teorie sceme e cospirazioni su virus creati in laboratorio. Sapevamo che sarebbe successo dieci anni dopo? No, ma ogni esperto con cui parlavamo diceva che non era questione di "se", ma di "quando"».
È rimasto in contatto con i virilogi?
«Sì, già nove anni fa mi dicevano che ci saremmo ritrovati in una situazione di questo tipo. E ora una delle cose che mi continuano a dire è che questo virus è qui per rimanerci e dovremo imparare ad affrontarlo».
Come cambierà il cinema nell’era del "durante" e del post Covid?
«Ci siamo ancora dentro. Ma il cinema, come tutto il resto, deve ripartire. È interessante: prima i movimenti MeToo e TimesUp, poi il Covid, tutti segnali che la società deve ricalibrarsi, ritrovare delle coordinate perdute, cinema e industria dello spettacolo compresi. Secondo me ne verrà fuori qualcosa di interessante. Potrebbe accelerare un passaggio verso la nuova fase del fare cinema».
In che modo?
«La pandemia ha equilibrato le parti in campo, nel senso che il cinema indipendente e a basso-medio costo non è più in pericolo di estinzione come si temeva fino a quattro mesi fa. Il pericolo che un film indipendente venga soppiantato da un filmone dal budget colossale che debutta su 5 mila sale, che oramai sono otto su dieci film-fumetto, della Marvel-Disney soprattutto, è sventato, perché nessun film potrà uscire in 5 mila sale per un bel pezzo. E forse quando quelle 5 mila sale saranno di nuovo disponibili i criteri di distribuzione e gusti del pubblico saranno cambiati. Stiamo tornando a Robert Altman, Hal Ashby, John Cassavetes, Sidney Pollack, autori indipendenti che venivano sostenuti dagli studios. Così spero».
I giovani registi dovrebbero quindi concentrarsi di più sulle storie e la sostanza, e meno sulla forma, l’azione, gli effetti speciali, gli "effetti" in genere?
«Come regista e produttore a me interessa una sorta di approccio autoriale soprattutto in tv, in cui un singolo regista dirige praticamente un film di sei, otto o dieci ore. La tv è la nuova frontiera. Tv seriale e streaming hanno stravolto ogni criterio, in tre o quattro anni, da Netflix in poi. Incoraggio i giovani registi a misurarsi soprattutto in tv, su larga scala in termini di durata narrativa. Se impari questo un film per il cinema di un’ora e mezzo diventa facilissimo. Sempre che tu abbia qualcosa di significativo da raccontare».
Come si fa a girare adesso, con tutte le limitazioni e restrizioni dettate dall’emergenza?
«Non c’è bisogno di isolarsi e fare la quarantena. C’è un protocollo molto strutturato, un po’ uno strazio, è vero, ma non molto diverso da quello per i bar e ristoranti. Stiamo tutti seguendo un programma pilota per testare la fattibilità delle produzioni sui set. Certo, ci devono essere meno persone sul set, più distanza, meno assembramenti, e questo è difficile, perché un set è quanto mai un ambiente "fisico", ad alta densità. Per questo dicevo che le piccole-medie produzioni senza tante comparse o grandi sfondi e azione saranno le preferite degli studios, per i prossimi due anni almeno. Ricordiamoci che poi c’è di mezzo la salute pubblica, l’epidemiologia e, ultimo ma non meno, le compagnie assicurative: più un film è "intimo" meno costerà il premio assicurativo. Che in taluni casi non verrebbe proprio concesso. Fino al vaccino per tutti».
Ha finito di girare in tempo "Let them all talk" con Meryl Streep.
«Abbiamo terminato a gennaio. È diventato un film "storico", perché fa già parte di una realtà – quella di un viaggio transatlantico dagli Stati Uniti all’Inghilterra - che non esiste più e che forse non esisterà mai più in quella forma. Sarebbe dovuto uscire in autunno, ma al momento non sappiamo niente. Potrebbe essere l’ultimo film di un’era, quella del pre-Covid: è chiaro che il virus e il movimento di protesta negli Usa porteranno a cambiamenti permanenti».
Per esempio?
«Stavamo per ricominciare le riprese della terza stagione di The Girlfriend Experience a Londra e parlavo con Anja (Marquardt, ndr), la sceneggiatrice/regista, di come affronterà il modo in cui le escort della storia faranno i controlli ai clienti. Non basterà misurare la temperatura. Come assorbiremo questi nuovi concetti? E come senza farli sembrare datati quando lo show andrà in onda? Sono tutte cose da considerare in questo periodo».