la Repubblica, 28 luglio 2020
Le ragioni di Canfora e i torti di Marchesi
Mi sono finalmente imbattuto in una bella stroncatura, appetitoso cibo dell’intelligenza, genere pochissimo praticato nell’Italia delle marchette e delle agiografie. Questa stroncatura è un libro di quasi mille pagine, elegante e spietato, che Luciano Canfora nel 2019 ha dedicato alla vita, o meglio alle vite, di Concetto Marchesi, e che io ho finito di leggere solo ora: Il sovversivo (Laterza). Canfora ribadisce la celebratissima grandezza dello studioso del mondo antico, a partire dalla Storia della letteratura latina che, pubblicata tra il 1925 e il 1927, è – direbbe Orazio – un « monumentum più longevo del bronzo». E però Canfora affronta e nega il presunto antifascismo in sonno di Marchesi (1878-1957) e ne boccia, con meticolosa cattiveria, la limpidezza di grande intellettuale comunista. Ancora, pur avvertendo che si tratta di uno studioso bravo, bravissimo, Canfora utilizza il proprio sapere per demolirlo senza pietà anche come storico che troppo correggeva e rimaneggiava ad ogni diversa edizione dei suoi saggi, e la Storia della letteratura latina ne ebbe addirittura otto sino al 1950. Insomma Marchesi via via modificava la sostanza di molte figure della storia romana – i Gracchi, Cesare, Catilina, Tacito… e soprattutto Sallustio – per adattarli, con forzature al limite dell’inesattezza, all’attualità e ai propri riposizionamenti politici, spesso ambigui e qualche volta opportunistici. La materia è bella, bellissima, nonostante ci sia un po’ di ambiguità nel racconto dell’ambiguità. Qui infatti non sono importanti solo la ragione e il torto.
Il punto è che, per un lettore, non c’è nulla di più ricco e più formativo delle stroncature aperte, non c’è niente di meglio di una polemica culturale senza sconti e reticenze. Del resto, non c’è libro che non sia stato scritto contro altri libri. Ma si tratta solo di una raffinata polemica su un caso di raffinata doppiezza e sull’eterna miseria italiana della dissimulazione? No. Perché c’è un punto terribile nella biografia di Marchesi ed è il suo presunto coinvolgimento nell’omicidio di Giovanni Gentile, il gran fascista mite. Fu davvero Marchesi il mandante di quel delitto politico che, non solo per lo sgomento che ancora suscita, è il prototipo dei tanti delitti politici che hanno segnato la storia della Repubblica? (Quanto somiglia, per esempio, al delitto Calabresi?). Ebbene, sulla responsabilità di Marchesi non ho capito – colpa mia? – cosa davvero pensi Canfora. Eppure nel 2014 Luciano Mecacci scrisse per Adelphi una rigorosa e minuziosa ricostruzione (La Ghirlanda fiorentina) dell’assassinio di quel povero vecchio. Il delitto, giudiziariamente irrisolto, fu rivendicato dalla base del Partito comunista e coinvolse il meglio dell’Intellighenzia italiana: «nomi – ha scritto Mecacci – apparentemente lontani per scelte politiche e culturali … alcuni divennero capofila della cultura italiana…». Taglienti i versi di Montale: «e l’acqua seguita a rodere / le sponde e più nessuno è incolpevole».