La Stampa, 27 luglio 2020
I centri svuotati rischiano un buco da 3 miliardi l’anno
Il lockdown è un ricordo, ma anche a giugno, primo mese con piena libertà di movimento, i numeri dei consumi sono stati neri per commercio, pubblici esercizi e turismo. La ristorazione paga un conto devastante: 250 milioni al mese, denuncia Confesercenti. Tre miliardi l’anno.
Non è solo un tema di scarsità di liquidità e poca fiducia che frenano gli acquisti: pesano lo smart working che tiene milioni di persone lontane dagli uffici e cambia le abitudini, e i minori spostamenti che tutti, per lavoro o piacere, stanno continuando ad affrontare.
Non a caso, certifica un’indagine condotta da Confimprese ed ErnstYoung su 4.500 punti vendita di 50 marchi, a soffrire maggiormente sono i centri storici e i centri commerciali, mentre contengono le perdite i negozi di quartiere. A giugno i negozi, escludendo i canali online, perdono il 27% rispetto allo stesso mese del 2019 e le mazzate più dure arrivano ai settori dell’abbigliamento (-45%), della ristorazione (-44%) e dei viaggi (-58%).
Difficile non vederci la mano delle nuove regole e abitudini, tra centri cittadini e centri direzionali svuotati, complicazioni nel provare i vestiti per sanificazioni e distanziamento e ansia da spostamento su lunghe tratte. Il quadro è negativo per tutti, ma la differenza tra centri e grandi aree commerciali (-30% a giugno e -45% nel semestre) e quartieri periferici/città di provincia (-20%) è netta e le cifre in alcuni casi sono ancor più secche: a Milano in corso Buenos Aires il crollo è del 40%, a Roma Est del 39%. Il conto complessivo del semestre dice -43%.
E se è vero che il boom dell’e-commerce indica probabilmente la direzione da seguire (+135% nel secondo trimestre), è altrettanto vero che la struttura tradizionale dell’offerta non consente di far fronte a una realtà in cui, come certifica Banca d’Italia, la mobilità delle persone continua a essere ridotta di quasi un quinto.
Anche così si spiega come a giugno, con le serrande rialzate, i negozi continuino a vendere il 27% in meno e i siti facciano registrare un altro +54%. «Negli ultimi quattro mesi, quelli segnati dal Covid – spiega Paolo Lobetti Bodoni, business consulting leader per ErnstYoung – nei negozi si sono persi quasi i due terzi delle vendite rispetto all’anno scorso. I segnali incoraggianti si colgono nelle vendite online e nel fatto che quelle nei cosiddetti canali fisici ora vanno ad un ritmo che sta nel range migliore che avevamo previsto».
Il tema dello smart working che svuota città e centri commerciali è però quello caldo per commercianti e ristoratori: «Al di là delle cifre che – spiega Mario Maiocchi, consigliere delegato Confimprese – fanno ipotizzare una chiusura di 2020 nel migliore dei casi con un -25/-30% con impatti notevoli sulla continuità di molti operatori, bisogna ragionare sulle modifiche strutturali nei modelli di vita, in particolare smart working e viaggi di affari e di flussi internazionali.
Saranno da valutare gli sviluppi sui centri delle grandi città e sul canale travel per la ridotta presenza e traffico di lavoratori e turisti internazionali, questi ultimi anche con impatto su outlet e centri commerciali.
Dall’altra parte ci sarà un ritorno di attenzione su location periferiche delle grandi città e centri storici delle città di provincia».