il Fatto Quotidiano, 27 luglio 2020
Storia di Pomponio, bollito vivo
Il papa inquisitore e boia e la sua vittima di appena ventiquattro anni. Entrambi morti quasi nello stesso giorno, a distanza di tre anni. Era il 19 agosto del 1556. In piazza Navona a Roma viene accesa “una catasta con sopra un calderone riempito con olio, pece e trementina bollente. Il condannato vi si immerge volontariamente e muore anch’egli invocando Dio, senza lamenti, dopo quindici minuti di sofferenze atroci”.
Bollito vivo per un quarto d’ora. Un supplizio inimmaginabile. Al punto che la feroce ed esigente folla romana alla fine esplode in un moto di simpatia per il condannato. “Quel scolaro da Nola che l’eccellentissime signorie vostre mandorno qui fu un di questi dì in piazza Navona brusciato vivo, con tanta constantia che fece meravigliar ogn’uno”. Il ragazzo si chiamava Pomponio de Algerio ed era nato a Nola, nel Napoletano, la città di Giordano Bruno, il frate domenicano che poi verrà bruciato in Campo de’ Fiori il 17 febbraio del 1600.
De Algerio aveva ventiquattro anni ed era luterano, protestante. Da Nola era andato a Padova per l’università (“la patavina libertas, il libero pensiero nelle cose filosofiche e teologiche”). Dapprima venne arrestato e processato dal governo della Serenissima di Venezia. Indi fatto portare a Roma per ordine di papa Paolo IV, eletto proprio nel 1555 all’età di settantanove anni. Paolo IV proveniva dalla nobile famiglia napoletana dei Carafa e durante il suo regno accentrò l’Inquisizione con un’apposita congregazione. Fu anche il pontefice che istituì il ghetto di Roma, ordinando agli ebrei di indossare un cappello giallo per essere riconoscibili. L’accusa contro Pomponio de Algerio, ovviamente, fu quella di eresia. In particolare, nelle sue invettive, il giovane studente se la prendeva con il papa “Anticristo e tiranno” e i vescovi, “i quali, lasciando le loro greggi in mano ad un altro che chiamano vicario, se ne vanno a Roma per passatempo, riponendo la loro più grande felicità in dissolutezza, sodomia, prostitute, cavalli e onori di questo mondo in modo sconsiderato”.
Paolo IV morì tre anni dopo esattamente: il 18 agosto del 1559 e “il popolo di Roma si sollevò desiderando liberarsi dall’oppressione del regime inquisitoriale organizzato da un pontefice detestato: la sua statua mutilata e il capo scagliato nel Tevere; la sede dell’Inquisizione assaltata, devastata e incendiata (…)”. A tirare fuori dall’oblio questa storia è un denso saggio di Umberto Vincenti, ordinario dell’Università di Padova: Lo studente che sfidò il Papa. Inquisizione e supplizio di Pomponio de Algerio (Editori Laterza, 194 pagine, 20). A colpire l’autore è soprattutto la fede nella libertà del giovane nolano: “Al di là della preparazione teologica, dell’abilità dialettica, del rigore consequenziale dimostrati davanti agli inquisitori, quel che più colpisce in questo giovane di ventiquattro anni è proprio la fermezza e coerenza assolute con cui rivendica la sua libertà interiore”.
Quattro anni dopo il supplizio toccherà a un altro nolano: Giordano Bruno.