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 2020  luglio 27 Lunedì calendario

Intervista a Paola Egonu

Paola è dolce, è un bel fuoco da scoprire, non ci conosciamo in maniera approfondita se non per qualche parola scambiata al volo e qualche sorriso sincero.
Sono contento di aver avuto l’opportunità di intervistarla perché avevo la sensazione che ci saremmo capiti col passare delle chiacchiere.
Paola, racconta un momento buio della tua carriera e vita sportiva.
«La scorsa estate, è stata strana per me, non è stata piena di sensazioni super positive. Diciamo anche che le mie aspettative erano alte, poiché arrivavo da una stagione col club (giocava con Novara, stagione conclusa comunque con la vittoria della Champions League, ndr). Non mi ero divertita come avrei voluto e quindi avevo riversato grosse aspettative e cercavo un riscatto emotivo nell’estate azzurra, che c’è stato ma solo a tratti. La batosta più grande è arrivata all’Europeo, vivevamo una situazione non equilibrata per i tanti imprevisti di diverso tipo che abbiamo avuto, e la semifinale contro la Serbia è stata l’apice di quel buio. Sembrava non andasse nulla e io non ho mai commesso così tanti falli di seconda linea in vita mia tutti insieme».
Ricordi che cosa hai pensato e sentito in quei momenti?
«Eh sì che mi ricordo, ho pensato: che c… succede? Proprio oggi!? Io quel giorno ancora di più non vedevo l’ora di scendere in campo e batterle; volevo che dimostrassimo che avevamo fatto un passo avanti da quella finale mondiale persa (nel 2018 in Giappone, ndr). Mi ha fatto male non riuscire a fare proprio in quell’occasione quello che riesco a fare di solito».
Come l’hai metabolizzata?
«Non l’ho fatto, quella stessa sera non ho cenato, avevo solo voglia di piangere e ho pianto tutta la notte. Non piango davanti a tutti, l’ho fatto con i miei punti di riferimento che sono Miriam Sylla, Monica De Gennaro e Ofelia Malinov. Non voglio mostrare le mie debolezze, poche persone possono vederle».
Ti sentivi in colpa?
«Sì. Sentivo quel peso perché nella mia testa l’unica cosa che volevo fare durante la gara era attaccare. E invece non sono riuscita a farlo secondo le mie reali capacità. Avevo deluso me stessa e le mie compagne. Il giorno seguente nella finale per il bronzo contro la Polonia ho tenuto dentro le lacrime che avevo ancora, perché non volevo dare la precedenza al mio stato d’animo. Le compagne di squadra erano la mia priorità».
Le scelte che si fanno non sono sempre comprese da tutti, è fondamentale decidere a chi mostrare come si è fatti. Come vive Paola Egonu i rapporti col prossimo?
«Sono molto decisa nella scelta delle persone a cui mostrare le mie emozioni, oppure delle persone con cui posso parlare di me stessa. So anche che questo mi fa sembrare abbastanza... stronza in certe situazioni. Mi dicono spesso in tanti, che così facendo potrebbe sembrare che me la tiri. Può sembrare a chi non mi conosce, se si affida solo alle mie espressioni esteriori, ma non importa. Non sento pressione da parte del mondo esterno per questo. Anche perché me la metto da sola la pressione, per il rispetto delle persone con cui gioco. Loro si impegnano e io devo impegnarmi per loro, anche quando magari ho meno da dare».
Quindi una Paola Egonu anche discontinua?
«Sì, lo ammetto. Quando mi viene fatto notare che ogni tanto non vado proprio al massimo è perché lo si nota chiaramente. Chi ho intorno mi vuole sempre al top e lo capisco».
Essere costantemente al massimo è un obiettivo?
«Sì mi piacerebbe essere il più costante possibile. Soprattutto perché lavorando su questo aspetto, con risultati, permetterei alle mie compagne di affidarsi a me a loro volta con continuità, senza problemi».
E ora non lo fanno?
«Certo che lo fanno!! Però magari ogni tanto mi manca la soluzione giusta da mettere in pratica in una situazione di difficoltà: ecco, in quei momenti vorrei sempre essere in grado di uscirne. Come per esempio in un fondamentale come la battuta».
Ma è vero che quando ci sono i finali di set punto a punto ti trasformi?
«Ragiono in modo strano. A volte capita che quando siamo in vantaggio io mi lasci coinvolgere e trascinare dalle compagne. Se vedo invece che siamo punto a punto, mi si accende qualcosa dentro così forte da spingermi ad essere io a trascinare anche gli altri. Vorrei che tutte le persone che ho intorno in quell’istante sentissero dentro di loro quello stesso fuoco, che ti dà la convinzione di potercela fare. In quei momenti cruciali sono un fiume in piena, lo ammetto».
Di cosa hai bisogno per fare questo?
«Fiducia. Ho bisogno della fiducia da parte delle mie compagne».
Ti capita spesso di diventare scomoda per le persone che ti stanno intorno?
«Eh si, succede. Il mio carattere, il mio essere diretta a volte blocca un po’ sul nascere dei rapporti. Se dopo una partita in cui ho fatto tutto il possibile e qualcun’altra che secondo me non ha fatto benissimo, magari dice qualcosa di inopportuno, in quei momenti rischio di esplodere».
E pensi di potere o dover cambiare qualcosa in questo tuo modo di essere?
«Devo, devo assolutamente, per il bene della squadra devo provare a smussare alcuni angoli del mio carattere».
Anche in prospettiva Tokyo 2021?
«Non so come sarò fra un anno, ma posso garantire che dopo questi ultimi mesi anche di lockdown ho avuto modo e tempo di pensare di più. Sento di poter essere in grado di gestire meglio le varie situazioni che potrebbero presentarsi. Comunque ho ancora un anno di tempo per smussare gli spigoli del mio carattere che non vanno bene».
Cosa ti infastidisce del prossimo?
«La presunzione. Se qualcuno mi dice qualcosa, con cui non sono d’accordo, cerco di vedere se è comunque costruttiva. Ma fatico a sopportare chi non ha le mie stesse priorità e magari cerca di imporre il suo punto di vista come se fosse l’unico condivisibile».
In questi mesi, dopo l’omicidio di George Floyd negli Stati Uniti, l’hashtag #blacklivesmatter è diventato il simbolo della lotta a razzismo e discriminazione...
«Siamo nel 2020 eppure il razzismo è radicato. È mi ha anche sfiorata. È capitato anche a mia madre, di essere guardata male per il colore della pelle. In banca magari... Poi quando la raggiungevo io, sapendo chi sono, cambiava totalmente la situazione. E in questi momenti ho sempre avvertito un profondo senso di tristezza, E a mentre fredda mi chiedo: cosa c’è dentro queste persone che odiano e che sembrano provare gusto nel far sentire inferiori gli altri solo per il colore della pelle? Siamo tutti esseri umani o no? E invece, se si prende come esempio proprio la vita di una squadra, le diversità di cultura, religioni e orientamento sessuali, si trasformano in qualcosa di aggregante e straordinario, dal quale trarre insegnamenti molto importanti, un arricchimento umano molto prezioso, soprattutto per le generazioni più giovani che dovrebbero avere un’apertura mentale differente».
Paola a 21 anni si sente ancora una ragazza o è già diventata donna?
«Mi sento già una donna. Anche se con le poche persone che mi sono più vicine mi lascio andare ed emerge il mio lato più infantile. Questo capita anche perché sono andata via da casa quando ero molto giovane (a 14 anni era nel Club Italia, ndr) e da allora ho dovuto, ma anche spesso voluto fare delle scelte che mi hanno gradualmente portato a scoprire la Paola Egonu donna».