La Lettura, 26 luglio 2020
Caro Mr Ellroy, mi dai una mano a tradurti?
«Dear Mr Ellroy, purtroppo devo disturbarla per un dubbio che non mi è possibile sciogliere senza chiederle un chiarimento».
Primo: scandire i passaggi necessari per ottenere una risposta. Alfredo Colitto, traduttore italiano per Einaudi Stile libero di James Ellroy, invia una mail all’assistente dello scrittore. L’assistente fa un downgrade tecnologico. Trascrive la mail a penna su un foglio. Lo affida a un desueto fax. Che lento, poco dopo, risputa fuori il messaggio in un appartamento sul fiume in downtown Denver, casa di James Ellroy. Lo scrittore legge, si spazientisce un po’, prende un altro foglio e scrive a matita. Esordisce brusco: «Ma che diamine, non lo sa?». Comunque, disponibile, spiega. E si snoda il percorso inverso: fax, assistente, mail, casella di posta elettronica del traduttore in Italia.
È intessuto anche di queste rare comunicazioni transoceaniche il titanico sforzo di tradurre un romanzo di oltre 850 pagine, più di un milione e 500 mila battute, un centinaio di personaggi storici e inventati o già comparsi in altri romanzi (tanto da render necessario un elenco di dramatis personæ), tutto impastato in un estremismo stilistico sempre più agguerrito. Questa tempesta è il secondo volume della seconda «tetralogia di Los Angeles» di Ellroy. E questa intervista racconta la storia dello scrittore/traduttore che ha attraversato quella tempesta per dare la voce italiana al maestro mondiale del poliziesco storico. Sei mesi di lavoro. Una «sfida linguistica, semantica e stilistica a ogni paragrafo».
Tradurre come un incontro di boxe: contro uno scrittore che ha un animo spietato, le braccia lunghe, picchia pesante, alimenta la sua narrazione con un impeto continuo, non perde mai i nervi né un particolare, s’affida al flusso di una tecnica complicatissima e (per lui) naturale. Ellroy è romanziere da knock down alla terza ripresa. Alfredo Colitto ha sudato e masticato le corde del ring, ma è arrivato in fondo con una traduzione densa, profonda, rispettosamente aggressiva (giocare in difesa, con Ellroy, vuol dire soccombere). Ce l’ha fatta, probabilmente, per l’onestà che traspare dalla prima frase della sua conversazione con «la Lettura»: «Non sono un fan di Ellroy mentre lo traduco, perché devo sputare sangue a ogni pagina. Lo divento alla fine».
Dunque, qual era il dubbio rimbalzato tra mail, fax e «pizzini»? «Un caso disperato». E cioè? «La k-car, in Perfidia. L’autore – ricorda Colitto – è stato brusco nella risposta, ma anche collaborativo. Ho scaricato sette dizionari di slang americano, ho sbattuto contro centinaia di pagine web, ho stressato i motori di ricerca. Trovavo soltanto riferimenti agli anni Settanta e Ottanta, ma siccome Questa tempesta copre l’arco temporale dal 30 dicembre 1941 all’8 maggio 1942 (Perfidia le settimane precedenti), ed Ellroy, su questo si può avere una fede assoluta, non sbaglia mai il minimo particolare storico, le indicazioni che mi saltavano fuori non potevano essere corrette. E quindi ho chiesto, cosa appunto non agevole perché lui vive in una civiltà pre-smartphone». Risposta: la k-car, per gli sbirri negli anni Quaranta e Cinquanta, «era semplicemente l’auto senza insegne della polizia».
Il racconto ha solo l’apparenza di un aneddoto. Permette invece di entrare nel cuore dell’officina del traduttore, che è poi anche un sentiero per accostarsi all’officina dello scrittore. «In Questa tempesta c’è un’evoluzione sia nel plot sia nella lingua. Tradurre Ellroy non è mai stato semplice. Ora però è più che mai complesso; c’è stata una contrazione ulteriore in uno stile da sempre sincopato, ritmico, ispirato al be-bop, dunque parecchio arduo da ricreare in una lingua melodica come l’italiano. Per tentare di farlo, bisogna ricorrere di continuo ad artifici, elaborazioni, piccoli tradimenti». Funziona così: «Se rispetti il ritmo, a volte perdi il senso letterale; se rispetti il senso letterale, la frase si allunga e perdi il ritmo. È una questione generale, che riguarda ogni traduzione. La differenza è che con Ellroy queste scelte devi farle a ogni pagina, quasi a ogni paragrafo».
L’esempio della k-car racconta un motore profondo nella lingua dello scrittore. L’acribia storica da ricercatore attraversa le pagine. «Lo slang è sempre stato un elemento potente nel linguaggio di Ellroy ma se il romanzo è ambientato negli anni Quaranta, lo slang è esattamente quello di quel periodo. Questo è certamente un livello di complessità». Ce ne sono molti altri. Palinsesto stilistico di densità estrema. «In questa seconda tetralogia troviamo molti personaggi giovani che comparivano in età matura in altri romanzi, a partire da Dalia nera. Ciò crea un ulteriore strato di complicazione. Per la comprensione è necessaria una conoscenza allargata su più romanzi».
Sempre per lo stesso editore, Colitto (che è anche autore di thriller storici) ha tradotto altri colossi del poliziesco americano. Don Winslow. Joe Lansdale. Confronto con quest’ultimo: «È texano, usa una lingua complessa, ritmo spumeggiante, molte battute, frequenti doppi sensi. Ma in due o tre giorni di lavoro, i più ostici, si entra in un romanzo di Lansdale. Con Ellroy lo stesso processo di approccio si espande a due, tre settimane; e poi la mole, da Perfidia a Questa tempesta, richiede almeno quattro, cinque mesi di lavoro rispetto ai due di un romanzo “normale”. Con Ellroy le prime cento pagine sono durissime, poi è sempre dura ma almeno ci si orienta. Cerco sempre di andare avanti ma le prime cento pagine alla fine ho dovuto ritradurle, sono state una sorta di palestra».
La difficoltà del traduttore è proporzionata alla ricchezza stilistica dell’autore. Traspare in alcuni esempi di traduzione (con spiegazione) che Colitto ha preparato per «la Lettura» e che sono riprodotti qui sopra. Poche righe per dar conto di come si affronta un romanzo che non dà tregua per centinaia di pagine. Lavoro minuzioso in una cornice di elevata responsabilità: «Bisogna intercettare la voce dello scrittore, che diventerà la sua voce in un’altra lingua. Scelte continue tra stile, lessico, giri di frase, su un filo che nel complesso deve essere unitario. Si ondeggia sempre tra sacrificare e tenere, per ogni frase ci sono alternative, che potrebbero essere forse migliori. È una sequenza infinita di decisioni». In Ricatto, romanzo breve che Colitto ha tradotto sempre per Einaudi Stile libero, Ellroy ha lavorato in maniera ossessiva sulle allitterazioni, cinque o sei parole che iniziavano o finivano con la stessa sillaba, un intarsio di suoni che stirava il significato: «Come lavorare sulla poesia».
Tradurre vuol dire conoscere i segreti di una lingua e di un romanzo. Guardarlo dall’interno come nessun lettore potrà mai fare.Visto così da vicino, Ellroy è davvero il Maestro del suo genere? «Da anni – spiega Colitto – è uscito dal thriller. Per la lingua, come abbiamo detto. Poi per il plot: un intreccio principale, poi una serie di sotto-intrecci, che si sviluppano e si collegano, ma mai un passaggio o un dettaglio viene perso. Nella gestione del plot Ellroy tocca sicuramente una vetta. E così per i personaggi: numerosi, profondi, con una dimensione dura e una fragile, in un maestoso affresco western dove nessuno si preoccupa di uccidere. Infine, il modo di trattare la storia. Da una parte viene ricostruita con attenzione maniacale per i fatti, i dettagli, le atmosfere; dall’altra, viene del tutto reinterpretata. In Questa tempesta troviamo l’internamento del giapponesi nel 1942, i sommergibili nipponici in Bassa California, la vicenda della Sinfonia di Leningrado di Šostakovic. Tutti fatti storici: però non sono soltanto romanzati, non fanno da cornice, bensì vengono elaborati con completa indipendenza, per diventare una controstoria che si mescola con la fiction e alla fine, questo è portentoso, risulta perfettamente credibile».