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 2020  luglio 26 Domenica calendario

Il vaccino socialista

«Per provare a dare un senso a tutto quello che è successo si potrebbe cominciare col dire che concentrarsi su Sars-CoV-2 come fenomeno biologico forse non basta». Slavoj Žižek nel suo libro Panic! — che con un gioco di caratteri diventa Pandemic! — sostiene che quello che ci è arrivato addosso va letto attraverso la storia, l’economia e la globalizzazione e con un’attenzione speciale alla società in cui viviamo.
Žižek parte dalla Cina e da Li Wenliang, l’oculista cui hanno chiuso la bocca quando ha provato a spiegare che cosa stava capitando (per poi riabilitarlo quando era già morto di Covid-19). «Non può esserci una voce sola in una società», se libertà di parola e diritti fondamentali dei cittadini non vengono rispettati, disastri come quello che abbiamo vissuto sono destinati a ripetersi. Se in Cina chiunque potesse esprimere le proprie opinioni e ci fossero libertà di parola e stampa, questa crisi si sarebbe fermata prima. E il bello è che in Cina l’apparato dello Stato tradisce perfino il vecchio adagio di Mao, «fidati del popolo»: chi governa a Pechino pensa tutto il contrario. Del popolo ci si deve prendere cura fino ad amarlo se volete, e poi lo si deve proteggere, salvo poi esercitare un controllo assoluto sui cittadini e sui loro comportamenti. Quanto alla fiducia no, non va concessa mai, a nessuno per nessuna ragione.
La Cina ha lavorato bene nel contenere l’epidemia a Wuhan ma non è bastato. Il governo ha un’ideologia sola, la sua, e ci crede fino in fondo, ma se le idee non possono circolare la gente non ha punti di riferimento, non riesce a orientarsi, e alla fine, quando nessuno si fida più di nessuno, si finisce per attribuire all’epidemia, e poi alla pandemia, chissà quale significato recondito.
Invece «è successo e basta – scrive Žižek – non c’è niente di strano, ragioni profonde non ce ne sono». Siamo una specie qui sulla Terra – come ce ne sono tante altre – senza un’importanza particolare e il virus – come si è visto – non ha alcuna venerazione per l’uomo, peggio: per lui un uomo vale l’altro.
L’epidemia ci ha messo a confronto con due circostanze opposte: medici, infermieri e chi si prendeva cura dei malati distrutti dal lavoro e gli altri a casa – costretti o per averlo scelto – a fare niente (o quasi). E non ditemi che ci si stanca anche a lavorare da casa. La stanchezza di due notti in piedi, quella che ti assale quando speri che nuovi malati non ne arrivino più, quella che ti fa sbagliare perché non hai la forza di pensare a quello che fai, è un’altra cosa.

A un certo punto il libro di Žižek guarda avanti. Cosa ci aspetta? «Anche le cose peggiori possono portare a qualcosa di buono» e cita Viktor Orbán che disse: «Quello che chiamate liberal non esiste, liberal è un comunista con un diploma». Forse c’è del vero, al contrario però: forse «liberal» con il diploma è chi si riconosce ancora nel comunismo, ma si è accorto della crisi del capitalismo. Insomma uno che studia e che attraverso lo studio si accorge che i valori che chiamiamo «liberal» li stiamo perdendo e che si potranno salvare solo con un cambiamento radicale verso una società nuova, basata sulla solidarietà piuttosto che sull’egoismo.
Chissà che il coronavirus, scrive Žižek, non possa essere l’occasione per reinventare il «comunismo» – non fraintendetemi, nulla a che vedere con il comunismo sovietico – piuttosto una forma di comunismo per cui lo Stato abbandoni i meccanismi legati al mercato e promuova la cooperazione in tutti i campi, ma soprattutto nel più delicato, quello della salute dei cittadini. Quello che ormai tutti chiamano universal health coverage fa parte dei diritti umani: vuol dire che tutti gli uomini in teoria hanno diritto di accedere ai servizi essenziali di prevenzione e di cura. Dovrebbe essere così dappertutto, ma purtroppo in molte parti del mondo non succede. Ma che ci possa essere una svolta nella direzione giusta lo si è visto proprio in questi giorni: premi Nobel, personalità del mondo della scienza, dell’arte, della Chiesa (Muhammad Yunus, l’arcivescovo Desmond Tutu, Mikhail Gorbaciov, Malala Yousafzai; e poi artisti e attori come Bono e George Clooney per fare degli esempi) e tante altre personalità hanno fatto appello a tutti i leader globali, ai governi e alle organizzazioni internazionali «affinché rendano dichiarazioni ufficiali che definiscano i vaccini per Covid-19 come un bene comune universale, esenti da qualsiasi diritto di brevetto e proprietà».
Tutto il contrario di quello che sta facendo Trump negli Stati Uniti con l’acquisto da Gilead di tutte le scorte per i prossimi tre mesi di Remdesivir (l’unico farmaco antivirale che funziona con Sars-CoV-2, almeno un po’). E non solo: ha offerto un miliardo di dollari a un’azienda farmaceutica con sede a Tubinga – la CureVac – per garantire un efficace vaccino contro il coronavirus «solo per gli Stati Uniti». Il ministro della Sanità tedesco, Jens Spahn, peraltro ha subito dichiarato che di un’acquisizione di CureVac da parte dell’amministrazione Trump non se ne parla proprio. CureVac svilupperà un vaccino per il mondo intero, e non per singoli Stati.
È lo scontro tra barbarie e civiltà. Ma lo stesso Trump poi si deve appellare al Defense Production Act perché, almeno nell’emergenza, il settore privato si orienti a produrre dispositivi medici e così limita la libertà d’impresa. L’avesse fatto Obama – scrive Žižek – i repubblicani sarebbero insorti: «Vuole introdurre il comunismo in America».
La verità è che l’emergenza ci rende tutti un po’ più «socialisti». I servizi pubblici di base devono continuare a funzionare, Covid o non Covid, l’elettricità, l’acqua, il cibo, le medicine devono essere disponibili comunque e allora si scopre la funzione del «pubblico servizio». Veniamo da un periodo di vita senza tempo che ha consentito a molti di riflettere su quello che ci succedeva intorno. Marshall Burke – professore di Scienze della Terra alla Stanford University – ha fatto un’osservazione molto interessante: in soli due mesi di lockdown l’inquinamento in Cina si è ridotto al punto da salvare probabilmente 4 mila bambini sotto i 5 anni e 73 mila adulti sopra i 70 anni che se no sarebbero morti e che sono molti ma molti di più delle vittime del virus, almeno in Cina e almeno per ora. Con la scusa del coronavirus abbiamo trascurato o ritardato altri trattamenti considerati non urgenti, che però alla lunga avranno un impatto sulla nostra salute più gravi di Covid-19.
Ecco perché è venuto il momento di rivedere le nostre convinzioni e andare oltre il coronavirus: la Cina ha dovuto affrontare da poco un’influenza suina di grandi proporzioni e poi c’è la peste bubbonica (quella che viene dalle marmotte) e si teme persino un’invasione di cavallette. E se vogliamo guardare ancora più in là, non possiamo fare a meno di riflettere sul fatto che nel giro di pochi anni i cambiamenti climatici uccideranno molte più persone di quanto abbia o avrà fatto il coronavirus. Perché allora non c’è nessuna forma di panico davanti a una situazione così grave? Non si capisce, scrive Žižek. Tanto più che il nostro modo di vivere non è cambiato a causa del virus, ma per tutto quello che c’è stato e si è detto e scritto intorno, forse anche in buona fede. Andando avanti, chi avrà il coraggio di darsi la mano e tornare ad abbracciarsi? Finirà per essere un privilegio di pochi? Così è stato nel Decameron di Boccaccio: storie di sette donne e tre uomini che si ritrovano in una villa poco fuori Firenze per sfuggire alla peste. Sarà così anche con Covid? Chi ha tanti soldi si ritirerà in posti bellissimi per divertirsi come nel Decameron mentre noi, persone normali, dovremo sottostare alle regole che ti consentono di «convivere con il virus»? Non si tornerà mai a una vita normale e ci accompagnerà sempre la paura che possa succedere qualcosa?

C’è il rischio che per salvare l’umanità da uno dei tanti virus si rischi di creare uomini disponibili a sacrificare praticamente tutto delle loro attività, lavoro, affetti, religione, convinzioni politiche, ideali, di fronte al pericolo di ammalarsi. Ma non potrà esserci salute e benessere per ciascuno di noi, se non ci prendiamo cura della salute degli altri uomini e degli altri esseri viventi, incluse le piante. Allevamenti e agricoltura intensivi, traffico internazionale di animali esotici, insediamenti dell’uomo sempre più vicini agli habitat degli animali selvatici e urbanizzazione estrema in certe aree del pianeta hanno distrutto l’interfaccia uomo-ambiente-animale. I patogeni sono sempre passati dall’animale all’uomo, ma la crescita della popolazione mondiale e la profonda modificazione dell’ambiente rendono il «salto di specie» molto più frequente. Se ne esce solo con una forma di solidarietà globale e di attenzione alla natura a cui fino a poco tempo fa soltanto un’élite di intellettuali particolarmente attenti aveva prestato attenzione, ma che d’ora in poi dovrà coinvolgere tutti. Potrebbe anche non essere così, e la crisi sfociare invece in una nuova forma di egoismo: vivere o morire potrebbe dipendere dalla classe sociale a cui appartieni, si lasceranno sole le persone fragili e gli anziani e le App dei contagi si trasformeranno in una forma di controllo digitale della nostra vita. Sarebbe la barbarie del peggior capitalismo, a vantaggio di pochi e a scapito dei più, per la salute prima di tutto.
Immagino che molti di coloro che hanno avuto la pazienza di seguirmi fin qui non saranno d’accordo e con molte buone ragioni, ma davanti a Pan(dem)ic! non si può far finta di nulla. Žižek – scrive «Lancet» in un commento a questo libro – ha portato un contributo prezioso per avviare una conversazione aperta su quello che potrebbe succedere, vale la pena rifletterci, «è un dovere che ha ciascuno di noi nei confronti degli altri».