Avvenire, 26 luglio 2020
I misteri da sciogliere nella morte di Mario Paciolla
Ha compiuto il viaggio di ritorno verso l’Italia, Mario Paciolla, il volontario Onu italiano trovato morto a 33 anni nella casa dove viveva a San Vicente del Caguán, in Colombia, il 15 luglio. Un viaggio lungo, come quello che aveva fatto la prima volta, nel marzo 2016, per raggiungere Bogotà e unirsi alle Brigate internazionali di pace. Ma che – aveva detto nel presentarsi al gruppo – «nell’attesa fra un volo e l’altro, può diventare l’occasione per indovinare il destino delle persone sedute accanto». Era un poeta Mario: gli amici raccontano che aveva una raccolta di versi pronti per essere pubblicati, una volta rientrato nella Penisola. Aveva già in tasca il biglietto, il 20 luglio. Invece a tornare – a Roma, non nella “sua” Napoli, nelle cui acque aveva detto alla madre di avere voglia di bagnarsi – è stata la sua salma, accolta dai genitori, distrutti dal dolore, e dalla Farnesina, nella tarda mattinata di venerdì.
Il destino è andato ben oltre anche l’immaginazione poetica del 33enne che, dopo due anni nelle Brigate internazionali di pace, aveva scelto di unirsi alla missione Onu incaricata di verificare l’applicazione dell’accordo di pace tra governo e Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia (Farc) dopo oltre mezzo secolo di guerra. Ed era partito per il sud, nella difficilissima regione del Caquetá, come sottolinea Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani, collaboratore del vescovo Joaquín Pinzón e autore del libro “Cambio civilizatorio”, con la prefazione del cardinale Peter Turkson. La zona è una delle roccheforti dei guerriglieri che hanno rifiutato il trattato e hanno ripreso in mano le armi. Là, alla fine dello scorso agosto, le autorità hanno ordinato il bombardamento contro i ribelli, uccidendo anche alcuni minori. L’operazione – costata l’incarico all’allora ministro della Difesa, Guillermo Botero, costretto alle dimissioni – aveva molto colpito Mario Paciolla, secondo quanto racconta chi lo conosceva. Come la giornalista Claudia Julieta Duque che, in un articolo sul principale quotidiano colombiano El Espectador, ha negato con forza la tesi del suicidio del volontario, circolata subito dopo il ritrovamento del corpo, impiccato. La reporter ha ricordato alcuni episodi poco chiari avvenuti nelle ultime settimane. Alla fine di giugno, durante una riunione all’Ufficio regionale Onu di Florencia, Paciolla avrebbe raccontato, con ironia, di essere stato accusato da una collega di essere una spia. Il 10 luglio, il volontario avrebbe avuto una forte discussione con i propri capi, come ha detto la madre, Anna Motta, a cui l’avrebbe raccontato in un colloquio Skype. Sempre a lei avrebbe detto di essersi messo in un pasticcio». Dubbi sono stati espressi anche da un altro ex esponente delle Brigate di pace, il giornalista tedesco Stephan Kroener, sempre su El Espectador.
La morte di Mario Paciolla è avvolta nel mistero. Il suo WhatsApp è stato attivo fino alle 22.45 del 14 luglio. Quella notte, un vicino ha detto di averlo sentito gridare al telefono in italiano. Il suo corpo è stato scoperto da una collega l’indomani mattina. Il colonnello Óscar Lamprea, comandante della polizia del Caquetá, in un primo tempo ha parlato di lacerazioni sul cadavere con arma bianca. Contattato da “Avvenire” non ha, però, voluto confermare sottolineando che sarà l’autopsia a dare tutte le informazioni. I risultati sono attesi fra una decina di giorni. La Procura, che conduce le indagini, non rilascia dichiarazioni. Fonti a lei vicine continuano, però, a ribadire la tesi del suicidio. L’Onu, da parte sua, come dichiarato dal portavoce del segretario generale, Stéphane Dujarric, ha avviato un’indagine interna e segue da vicino l’inchiesta delle autorità colombiane. Anche la Farnesina dà massima attenzione alla vicenda che ha provocato un forte impatto in Italia. Come dimostra la petizione online per chiedere verità e giustizia, organizzata dagli amici, arrivata a oltre 50mila firme.