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 2020  luglio 26 Domenica calendario

Storia della libertà di stampa

Non è una disquisizione accademica sulla libertà di stampa, come non lo era quella compiuta nel 1925 (agli esordi del regime fascista) da un giornalista liberaldemocratico come Mario Borsa (che ne pagò il prezzo con due arresti e il confino), a cui s’ispira ora il libro di Pierluigi Allotti. Giacché consiste in una rievocazione delle tormentate vicende che hanno segnato, un passo dopo l’altro, la progressiva conquista in Occidente della libertà di opinione e di espressione. L’Autore di questo efficace excursus ha voluto infatti mettere debitamente in luce quanti e quali gravi costi individuali e collettivi abbia comportato il graduale affrancamento, ad opera di tanti oscuri gazzettieri e pamphlettisti (finiti sovente sul rogo o sulla forca per mandato di autorità religiose o per ordine di monarchi assoluti), ma pure di filosofi, giuristi e pensatori di varie ispirazioni ideali, sia dalle maglie di un’occhiuta censura preventiva che dalle tenaglie di una brutale e indiscriminata repressione. 
Risulta perciò evidente quale somma di tormentate vicende e peripezie abbia contrassegnato il complesso itinerario – a cominciare dall’Inghilterra di fine Seicento e poi dalla Francia rivoluzionaria del 1789 e da quella degli Stati Uniti all’insegna della Costituzione del 1791 – verso la maturazione e il riconoscimento in Occidente della libertà di stampa, quale matrice ed emblema di tutte le libertà politiche e civili e dei loro ingredienti: dall’autonomia della persona, con la facoltà di scegliere e agire nel quadro di adeguate norme costituzionali, a un’effettiva dignità dell’individuo.
Non si deve comunque ritenere che oggi l’esercizio concreto della libertà di stampa, e quindi questo principio cardine della democrazia, sia al riparo da nuove minacce e insidie sotto altre sembianze rispetto a quelle d’un tempo. A differenza di quanto si era in genere portati a pensare a proposito di Internet, ossia che, ampliando la circolazione delle idee e delle notizie senza più alcun vincolo di spazio e di mobilità, avrebbe finito per eludere gli sbarramenti dei regimi autocratici o comunque illiberali, ciò non è valso in pratica ad allentare sia un controllo metodico dall’alto delle fonti e dei canali dell’informazione che una manipolazione strumentale delle opinioni politiche, come si rileva anche dalle pagine conclusive del saggio di Allotti (in cui non manca perciò un riferimento alla tragica sorte toccata ad Anna Politkovskaja e a Jamal Khastoggi, solo per citare alcuni testimoni coraggiosi del nostro tempo, vittime recenti di poteri oppressivi).
Ma esiste, a mio avviso, nell’epoca del web, un altro genere di pericolo su cui d’altra parte ci si interroga non solo negli Stati Uniti ma un po’ dovunque, nei principali Paesi occidentali, sulle attuali condizioni e prospettive del mondo della stampa e della comunicazione digitale, in quanto alcuni colossi internazionali sono in grado di gestire sotto le loro insegne Tv, quotidiani, magazine, blog e filmati concentrando, da un lato, un notevole potere d’influenza su modi di sentire e di agire della gente, e, dall’altro, gran parte del mercato pubblicitario, ossia una risorsa finanziaria essenziale per qualsiasi tipologia di mass media. In questo contesto due sono i rischi che incombono sui cittadini. In primo luogo, quello di una decrescente possibilità di verifica e monitoraggio dell’opinione pubblica nei riguardi dei gruppi più eminenti e delle loro decisioni; e quello consistente, per via della subcultura dei social, di una cyberdemocrazia, di una partecipazione online dei cittadini, avulsa da forme organizzate di mediazione e rappresentanza della società civile e portata quindi a dare risposte suadenti e populiste a problemi ancorché complessi e impegnativi. 
A non contare l’impoverimento del linguaggio che purtroppo sta connotando il sistema dei nuovi media, a causa di una prevalente narrazione rapsodica e volatile della realtà, prodotta dai blog e dagli account twitter che atrofizza in pratica le capacità di analisi e riflessione in quanto esse vengono sommerse da un profluvio quotidiano a raggiera di ragguagli semplici e veloci, di slogan virali e di congetture accattivanti, quando non di fake news.
È dunque una sfida ardua quella per la sopravvivenza di un giornalismo indipendente e di qualità. Anche perché le istituzioni pubbliche hanno cominciato soltanto negli ultimi tempi a porsi il problema di regolamentare l’uso dei nuovi strumenti digitali di comunicazione, sempre più sofisticati, che sono oggi in grado non soltanto di penetrare nei meandri del mondo degli affari e nelle relazioni commerciali (assicurando una crescente quantità di soldi ai principali potentati del web), ma sono sempre più capaci di influenzare sia la psicologia e il comportamento delle persone nella vita quotidiana, sia i loro orientamenti politici e il loro voto nelle tornate elettorali.