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 2020  luglio 26 Domenica calendario

Con Trump resta l’America profonda

Spike Lee lo chiama “Agent Orange”, senza mai pronunciarne il nome. Accosta il colore dei capelli alla micidiale arma chimica usata dagli americani durante la guerra in Vietnam che devastò la vita a milioni di persone. Tra cento giorni esatti negli Stati Uniti si vota per decidere chi guiderà la prima potenza mondiale fino al 2024. La scelta, prima ancora che tra due candidati, è tra chi è con o contro Donald Trump. 
I quattro anni della sua presidenza hanno accentuato la polarizzazione nel Paese. Come mai prima dai tempi della guerra civile. Una nazione divisa. Trump si trova a suo agio su questo terreno: ha costruito la vittoria nel 2016 sfruttando le lacerazioni e i contrasti della società americana, cercando di replicare il “Divide et impera”, come suggerito dal suo ex spin doctor Steve Bannon. La stessa ricetta che ripropone ora amplificando le attese del nazionalismo bianco, e alimentando le paure della classe media spaventata dai movimenti di piazza, dalle campagne per disarmare la polizia, dalla perdita della centralità americana rispetto all’avanzata della Cina. 
Fino a febbraio la rielezione per il secondo mandato sembrava scontata, spinta dai successi economici: disoccupazione ai minimi da 50 anni, i tre indici di Wall Street migliorati in media di oltre il 50% in tre anni di presidenza. Ora non è più così. Il coronavirus che continua ad avanzare, la crisi economica con oltre trenta milioni di disoccupati, migliaia di fallimenti, i cortei per l’uccisione di George Floyd – le manifestazioni di protesta più imponenti della storia americana – hanno mischiato le carte in tavola.
Da metà marzo il rivale democratico Joe Biden è in vantaggio in tutti i sondaggi nazionali, ora anche di due punti percentuali: Biden è dato al 55%, contro Trump al 40% nell’ultima rilevazione Washington Post/Abc. Persino negli swing states, gli Stati dove i due candidati sono più vicini, Biden è avanti e continua a guadagnare consensi. 
La disastrosa gestione del Covid-19 ha fatto crollare il gradimento di Trump tra gli americani al 39%, con un 57% di giudizi negativi. A fine marzo il tasso di approvazione era al 48%, contro il 46% di giudizi negativi. Trump dice di non essere preoccupato: «Polls are wrong», i sondaggi sono sbagliati ripete. 
A differenza della percezione che si ha in Europa, Trump con la sua retorica muscolare e le sue contraddizioni – e forse proprio grazie a questo – gode di un ampio sostegno in larghe fasce della popolazione. L’America profonda è tutta per Trump. Quel 68% di americani, dati ufficiali, che non possiede neanche un passaporto. Per i quali i confini del mondo corrispondono a quelli degli Stati Uniti. 
Il suo elettorato è in gran parte costituito da bianchi, classe media, con un diploma di scuola superiore, delusi e messi da parte dalla crisi economica e dalla globalizzazione. Ci sono le “Tre B”: bible, bullet e beef. La lobby delle chiese evangeliche negli stati del Sud e del Midwest, i cattolici conservatori e gli ebrei ortodossi, la lobby dei produttori di armi e quella degli agricoltori. Ci sono poi i gruppi di suprematisti bianchi, negazionisti, cospirazionisti, i più vari movimenti di estrema destra che lo seguono, qualsiasi cosa faccia o dica. 
Quando parla, come nell’intervista a Fox domenica scorsa, è un disco rotto: ripete sempre gli stessi temi che il suo elettorato vuole sentire: i record della sua presidenza, veri o presunti, la Cina e i comunisti, l’invasione degli immigrati, l’America che ritornerà a essere grande, a scapito degli altri.
Fox News, la più trumpiana tra le tv americane, da settimane nei talk show serali rimanda le immagini video della coppia di St. Louis, in Missouri: due avvocati sessantenni che dal giardino di casa di puntano fucile e pistola su un gruppo di ragazzi di colore del movimento Black Lives Matter che marcia nella strada di fronte. «I democratici vogliono togliere le armi alla polizia». «Dobbiamo difendere le nostre proprietà dai criminali e dalle loro devastazioni» è il messaggio che passa ed entra nelle case degli americani. Realtà e fake news si mescolano con Trump. Che si definisce il presidente del Law & Order, e invia gli agenti federali a Portland e nelle altre città per evitare i disordini e si ritrovano a fronteggiare il “wall of mums”, un corteo di mamme con la t-shirt gialla e i fiori in mano per proteggere i manifestanti dalle forze speciali. 
Tra i repubblicani, con il peggiorare della crisi sanitaria, l’avvicinarsi del voto e il crollo verticale nei sondaggi, in molti cominciano a defilarsi, più o meno apertamente, dalle posizioni del presidente. Oltre alla vittoria di Biden, si teme la possibilità di perdere il controllo del Senato. Sarebbe la disfatta totale. E la fine del trumpismo. Nel partito sono sorti diversi gruppi contrari alla rielezione, come “Repubblican Voters Against Trump” o “43 Alumni for Biden”. Persino l’ex presidente George W. Bush voterà Biden e ha lanciato un suo gruppo di sostenitori nel Grand Old Party. 
Ma il coronavirus e la crisi economica soprattutto, prima ancora delle contrapposizioni ideologiche, restano le grandi incognite per le elezioni del 3 novembre. Trump ha silurato il capo della campagna elettorale Brad Parscale dopo il flop del comizio a Tusla. E ha appena cancellato la convention repubblicana in Florida: troppo pericolosa per il Covid-19. 
Il nuovo capo della campagna elettorale Bill Stepien ha lanciato la volata per i prossimi 100 giorni: vuole organizzare ogni giorno come se si votasse l’indomani. Trump è abituato alle rimonte e alle sfide impossibili. Non è detto che non ci riesca. La volata è appena iniziata.