La Stampa, 26 luglio 2020
Delitto Ceste, il marito non si arrende
L’assassino Michele Buoninconti si aggrappa a un paio di pantaloni, un maglione, dei collant e degli slip. Sono i capi personali di Elena, Elena Ceste, mamma dei suoi quattro figli, la moglie che questo vigile del fuoco incensurato ha ucciso il 24 gennaio del 2014 in 12 minuti tra le 8. 43 e le 8. 55, nascondendo il corpo nel Rio Mersa, un canale a poche centinaia di metri dalla casa dove vivevano a Costigliole, in provincia di Asti. Oggi è detenuto ad Alghero, si sta laureando in economia e commercio, insegna agli altri detenuti con trent’anni di galera inflitti definitivamente dalla Cassazione. Ma l’esame della vita, la scommessa del tutto per tutto è lì fissata in calendario: trovare indizi nuovi che possano portare alla revisione del processo, a scardinare la sentenza definitiva e quindi spalancare la porta della cella. A sostenere Buoninconti sono i familiari campani, convinti della sua innocenza. Del resto, meglio avere un parente vittima di un clamoroso errore giudiziario, piuttosto che un assassino. Così i congiunti hanno arruolato un intero pool di esperti, capitanato dall’ex carabiniere ed investigatore privato Davide Cannella, della Falco investigazioni di Lucca. A Cannella il compito di fare il miracolo, coadiuvato da esperti come il biologo forense Eugenio D’Orio dell’università Federico II di Napoli. Proprio lui dovrebbe mettere mani e microscopio sui vestiti di Elena, gli indumenti che secondo Michele questa mamma uscita dalle favole del Mulino Bianco, dalla famiglia di provincia felice, almeno in apparenza, indossava il giorno della scomparsa e che Michele giura di aver trovato fuori dalla villetta, vicino al cancello, ben ripiegati uno sull’altro, insieme agli occhiali, consegnando tutto ai carabinieri. Ma su questi reperti è già battaglia: la difesa di Buoninconti sperava appunto di esaminarli ma il pubblico ministero Laura Deodato si è messa di traverso. Ha avvisato il giudice che dal 7 gennaio 2019 su questi indumenti grava un ordine di distruzione. E così il gip solo un paio di giorni fa, mercoledì 22 luglio, ha mandato una pec al pool della difesa per avvisarli che al massimo possono solo visionare i reperti. Insomma, nessuna analisi. Del resto, il processo è finito, la condanna è definitiva, cos’altro serve? Ma la difesa non molla. Chiederà un’udienza al giudice perché valuti l’essenzialità dei nuovi accertamenti genetici. Così a oggi l’unica cosa certa è che Elena, ancora per molto tempo, non riposerà in pace.
Ma poi cosa potrebbero dire le ulteriori analisi su questi indumenti? «Su quei vestiti – afferma D’Orio – sono stati rintracciati campioni di terriccio compatibile con il terreno del canale dove è stato trovato il corpo di Elena. Ma nessuno ha cercato il dna di terze persone quando è verosimile che l’assassino abbia lasciato le sue tracce biologiche su quegli abiti. Ci fossero si aprirebbero scenari diversi». Senza dimenticare che ancora ci sarebbero persone che sanno e tacciono: «C’è una persona – punta l’indice Cannella – che ha mentito spudoratamente in questa storia, sta mentendo su una cosa essenziale. Potevano essere seguite altre strade con la medesima importanza». Di chi si tratta o tratterebbe è ancora top secret ma Cannella annuncia colpi di scena veri o presunti tali si capirà nelle prossime settimane.
In realtà, i giudici della Cassazione hanno messo insieme un quadro indiziario potente. La cornice è una gelosia ossessiva di Buoninconti tale da portarlo prima a strangolare la moglie, inscenando quindi il finto ritrovamento degli abiti e la fuga volontaria, causata da una crisi psicotica. Un delitto quasi perfetto se il corpo della moglie non fosse riemerso nove mesi dopo in un luogo compatibile con gli spostamenti dell’ex pompiere di quella mattina. Proprio il viaggio in auto per nascondere il cadavere avrebbe tradito Michele. Il suo telefonino, in transito tra le celle telefoniche 415 e 416, lo avrebbe infatti localizzato sul percorso. «I tempi strettissimi in cui l’imputato – si legge nelle motivazioni della Cassazione – commise il delitto e poi occultò il cadavere, compatibilmente con il falso alibi già predisposto, comportarono una serie di azioni ben studiate, così da poter essere eseguite in continuità secondo una cadenza sul filo dei minuti». Michele avrebbe ucciso Elena con premeditazione progettando il delitto già dal 21 gennaio del 2014, tre giorni prima di compierlo, dopo aver scoperto sul cellulare della moglie i messaggi di un corteggiatore. «È questa la data in cui viene collocata, (. . .) – proseguono i giudici con l’ermellino – la scoperta da parte dell’imputato dei messaggi (. . .) un tradimento che (. . .) viene individuato come non più tollerabile e tale da far ritenere all’imputato di trovarsi davanti a una strada senza uscita». Ovvero, l’onore e il rispetto, l’orgoglio cieco e la violenza. La vita in quella casa doveva essere per Elena un inferno. Con un marito che aldilà delle apparenze imponeva alla moglie regole, vincoli, controlli e abitudini. Oltre alla gelosia nel firmamento di Michele c’era anche il risparmio come stella polare. Un incubo: per risparmiare si beveva acqua piovana filtrata, Michele tagliava i capelli della moglie con una padella, l’auto che la mamma usava per portare i bimbi a scuola aveva un’assicurazione che scadeva a inizio estate. In modo che Elena non potesse utilizzare il veicolo al di fuori dell’anno scolastico. Senza dimenticare due intercettazioni da brividi. La prima in auto risale al 17 agosto 2014, prima estate senza mamma per quei quattro bambini. A loro Buoninconti si rivolge così: «Con mamma c’ero riuscito a farla diventare donna. Solo, vai a capire cosa ha visto! Diciotto anni della mia vita per recuperarla, diciotto anni per raddrizzare mamma!». L’altra intercettazione è uno schiaffo a chi lo immaginava nei mesi subito dopo la scomparsa tutto intento a cercare la moglie. No, flirtava con altre donne: «Vorresti essere la mia asinella? – chiede a un’amante calabrese – vorresti ragliare con me?». Poi certo, aggravano il quadro i tentativi di depistare le indagini, di allontanare le ricerche dal luogo dove aveva occultato Elena, di sostenere quell’improvvisa fuga e riparo in un luogo assai difficile da raggiungere soprattutto per una donna che sarebbe arrivata lì nuda come Buoninconti ripeteva alle telecamere di mezza Italia.
Eppure si erano amati, eccome. Elena studiava ragioneria, poi fresca di diploma, un filo di profumo, gli occhiali leggeri che ancor più le addolcivano il viso, ogni mattina saliva sull’autobus che la portava a Torino, dal commercialista che l’aveva assunta. Così nel 1998 conobbe Michele. All’epoca era un autista di linea, sapeva farci, sapeva convincere, sembrava solido, insomma un amore nato nella calca tra pendolari, fermate e sguardi. Poi il fidanzamento, le nozze, uno due tre quattro figli. E quel quadretto della famiglia del mulino bianco che più bianco non si può, appeso a Costigliole d’Asti: la domenica sempre nel primo banco in chiesa, l’altalena cigolante nel giardino di casa, il pollaio con le uova fresche, i biscotti a forma di cuore che Elena sfornava fino all’omicidio. Oggi rimane l’amore enorme della comunità di Costigliole – dal sindaco al maresciallo, tutti con nonni e zii – che ha sostenuto i quattro figli. Elisa ha 19 anni, è la più grande, una somiglianza con la madre da pelle d’oca. Profonda, taciturna, e soprattutto responsabile: sa tutto e lavora per aiutare nonni e fratellini. Ci deve pensare lei. Il babbo sembra più concentrato sul proprio futuro che su quello di chi non tiene più per mano.