Corriere della Sera, 26 luglio 2020
Il soprano Buratto e la taglia 46
«Bisogna credere nei sogni, ma tener pronto un piano B». Con la concretezza della sua terra mantovana, Eleonora Buratto riassume la sua filosofia di vita. Per esempio, cantare nei primi teatri del mondo senza dimenticare quel che scalda il cuore, un amore, una famiglia. «Ho riflettuto su quel che voglio davvero – racconta il soprano —: dedicare più tempo al mio fidanzato Emanuele, anche lui musicista, provare a fare un figlio. Magari sposarci. Se non c’era il virus l’avremmo già fatto. Ma le nozze intime non fanno per noi. Tra fratelli zii e cugini in famiglia siamo in 56. E anche i suoi non scherzano. Vogliamo una bella festa».
Nell’attesa, per Eleonora l’estate non sarà vacanza. «Ne abbiamo fatta fin troppa, bisogna provare a ripartire». Ieri sera all’Arena di Verona ha cantato nel concertone inaugurale intitolato al «Cuore della musica italiana», e in Arena tornerà l’8 agosto nel Gala Verdi con Francesco Meli e Luca Salsi. «Due campioni del repertorio verdiano, un onore far trio con loro».
Il 2021 la riporterà alla Scala. «Due volte. Stabat Mater con Chung e Faust di Gounod. Mi auguro che le regie tornino a essere tali. Per fondersi le voci devono essere vicine, e due metri di distanza rendono improbabile l’amarsi o pugnalarsi».
La lirica non è stata la prima scelta. «Ho cominciato in una band rock, i Pentatonica. ero la voce. In repertorio avevo Alanis Morissette, gli Shunk Anansie. Ma il mio cavallo di battaglia era Sacrifice di Anouk. Ancora oggi quando la canto mi commuovo. Anni bellissimi. Certo, un brano classico musicalmente è più complesso, ma come emozione uno dei Pink Floyd o dei Metallica può valere quanto un’aria di Puccini o di Verdi».
Poi, visto che voleva dare il meglio anche nel rock, è andata a prendere lezioni da uno che di voci se ne intendeva, il direttore della Corale Verdi. «Dopo avermi ascoltata mi disse: il prossimo anno ti iscrivi al Conservatorio. Ho seguito il consiglio».
L’ambiente della classica sembrerebbe più rassicurante di quello del rock, eppure gli scandali non sono mancati. «Le molestie sono un capitolo spinoso. Io non ne ho mai ricevute, dovesse capitare denuncerei subito, non trent’anni dopo. Piuttosto ho da ridire su un certo maschilismo dell’ambiente, le donne escluse dai ruoli di potere, sia ai vertici dei teatri, sia sul podio. Eppure le direttrici brave esistono, vedi la mia amica Speranza Scappucci. Mi piacerebbe lavorare una volta con lei».
Quello che trova discriminante all’opera è l’ossessione per la linea. Le sue curve morbide e femminili le sono costate qualche reprimenda. «A un festival di Salisburgo di qualche anno fa una costumista mi rimproverò: certo, se perdessi qualche chilo… Ed ero una taglia 44. Lo stesso mi è capitato per una Traviata, bocciata perché non avevo, secondo il regista, le physique du rôle. Ed ero sempre una 44… Ci ho patito, poi mi sono detta: sono una cantante, mica una modella. C’è vita anche oltre la 46! E poi sono una buona forchetta. Quando studiavo con Pavarotti gli parlai dei tortellini di mia mamma. Gli si illuminarono gli occhi. Mi propose uno scambio, un sacchetto di quelli del suo ristorante contro un sacchetto di casa mia. Quando ci siamo rivisti alzò il suo famoso panama e mi disse: Chapeau! Ha vinto tua madre».