Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  luglio 26 Domenica calendario

Vincere 22 milioni e dividerli con l’amico

Tom Cook e Joseph Feeney sono due normalissimi americani del Wisconsin, entrambi ammogliati, entrambi abbastanza avanti con l’età ma ancora in tempo per godersi la fortuna che gli è piovuta addosso quando il primo dei due ha azzeccato i numeri del Powerball: un considerevole jackpot da 22 milioni di dollari.
I calcoli sono del tutto simili a quelli del nostro Superenalotto: per un simile colpo vincente, c’è una possibilità su duecentonovanta milioni e rotti. Ma questa improbabilità statistica impallidisce del tutto di fronte a quella che è destinata a diventare una delle strette di mano più celebri di tutti i tempi. Perché Tom e Joseph, un giorno ormai lontano del 1992, fecero un patto, suggellato nella più classica delle maniere, appunto l’«handshake»: avrebbero giocato i numeri del Powerball ogni settimana, e se uno dei due avesse mai vinto qualcosa, avrebbe fatto a metà con il compagno.
Aumentavano così la loro possibilità individuale di vincere in modo del tutto irrisorio: si potrebbe dire che al posto del classico ago nel pagliaio ne infilarono due. Possiamo immaginarli che vivono la loro vita per trent’anni senza nemmeno pensarci sopra molto, mentre i baffi ingrigivano e i figli crescevano. Le cronache non ci dicono se l’amicizia, intanto, si è raffreddata, come può capitare, o è rimasta costante. Fatto sta che qualche giorno fa, come dicevo, Tom ha giocato i numeri giusti e Joseph ha ricevuto per telefono la notizia che i suoi undici milioni lo aspettavano.
Intervistato dai media, il primo ha dichiarato semplicemente che «una stretta di mano è una stretta di mano». Non so se sottintendesse anche quello che in molti hanno pensato: che una stretta di mano, probabilmente senza testimoni, vale più di qualunque carta firmata, autenticata, stilata secondo i consigli di avvocati e notai. Ma il buon senso ci suggerisce proprio questa conclusione, e non solo perché, come tutti prima o poi sperimentiamo, in ogni carta c’è un manzoniano garbuglio, un possibile vizio di forma, una via di fuga dall’impegno, un margine di interpretabilità in cui si può nascondere il contrario esatto di quello che si è firmato. Tutto questo è vero, ma bisogna anche considerare il fatto che, per una persona sana, un impegno informale del genere è mille volte più vincolante di un obbligo di legge.
Perché il valore dei nostri gesti, quando sono gratuiti e ripuliti da ogni scoria di ambiguità, non è altro che il valore della nostra vita. E onorando il significato di quelli più arcaici, trasmessi di padre in figlio in una catena ininterrotta di generazioni, noi esercitiamo una forma di libertà che nessuno ci può togliere. Se ci riflettiamo sopra, questa storia commuove perché è l’esatto contrario della pubblicità, e della politica che sempre di più si ispira alla pubblicità, tanto che è ormai difficile distinguere l’una dall’altra, appartenendo entrambe al nefasto mondo artificiale della «comunicazione» e alle sue leggi. Nella «comunicazione» conta solo ciò che si promette; la storia di Tom e Joseph ci riporta con i piedi per terra, ricordandoci che le persone vanno giudicate solo per quello che sono in grado di mantenere.
Quanto a me, ho sempre diffidato di chi, al posto di stringerti la mano, ti mette la sua fra le dita senza esercitare la minima pressione, come se si trattasse di un’appendice inerte, o un pezzo di carne bollita. Nel puro riflesso automatico della cortesia, privato di ogni energia vitale, mi sembra di riconoscere tracce evidenti di indifferenza se non di disprezzo. Meglio gli impetuosi che rischiano di romperti un dito, ma almeno stanno attenti al significato di quello che fanno.