la Repubblica, 26 luglio 2020
Quanta severità con Zaniolo
Nessuno abbraccia Zaniolo. Segna un gol straordinario: pur facendo la tara alla stanchezza e al disimpegno degli avversari della Spal, li evita con accelerazioni e sterzate poi lascia partire un tiro perfetto. Si gira, apre le braccia e resta lì, solo. Come fosse un’esultanza alla ripresa del campionato tedesco, quando ancora si rispettavano le regole. Niente a che vedere con la festa intorno al suo compagno Bruno Peres, pochi minuti prima. Una scena simile si era vista in occasione del suo gol al Brescia. C’è un senso di solitudine intorno a Zaniolo. Vale per lui e per i ragazzi del ’99, ma un mondo che fatichi a comprenderli non parla più la lingua del calcio.
Non dovrebbe essere difficile capire Zaniolo, eppure è successo. Spesso, quasi sempre. Quando cominciò allo Spezia gli altri genitori dissero che era raccomandato perché figlio di un calciatore, giocava troppo e l’allenatore, per evitare problemi, lo mise in panchina. Alla Fiorentina iniziò alla stessa maniera: cinque giornate senza scendere in campo. L’allenatore disse che voleva provocarlo, perché non si preparava a dovere, ma alla fine lo lasciarono andare via. All’Inter si vendicò battendo proprio la Fiorentina in una finale scudetto, brillando tra Valietti e Pompetti. Lo osservò Spalletti, ma non ne fu colpito e diede via libera alla sua cessione per avere Nainggolan. Curioso che a scommettere su Zaniolo sia stato il ct della Nazionale Roberto Mancini (ex ragazzino prodigio), prima ancora che esordisse in Serie A.
Dev’essere un po’ come il nonnismo in caserma, fai passare agli altri quel che è toccato a te, ma in questo caso a fin di bene: sentire la fiducia quando non si è ancora dimostrato niente. Poi, qualcosa ha dimostrato. Quando è libero, sereno, motivato Zaniolo fa cose che nessun altro pensa, non solo della sua età. Come Valentino Rossi, ha una statura che gli dovrebbe impedire i movimenti che compie. Uno si piega in curva e l’altro corre palla al piede con l’agilità di chi ha venti centimetri in meno. Sarà stata la crescita tardiva, come in Leo Messi, a innestare nel presente un ricordo. Eppure gli allenatori, i dirigenti e i bar sport dubitano. A Zaniolo si rimproverano il carattere inaffidabile, il mammismo, i ritardi, i mancati rientri, l’immagine curata da Fedez. Si diffida dei ragazzi del ’99.
Il paradiso può attendere, la plusvalenza no. Nell’Under 19 che due anni fa andò in finale agli Europei giocavano, oltre a Zaniolo, altre promesse. Soltanto Tonali è titolare, al Brescia. Kean (“il predestinato”) è stato spedito in Inghilterra. Pinamonti fa la controfigura di Pandev. Scamacca segna, ma all’Ascoli. Plizzari para, ma a Livorno. Agli altri è stata concessa ancor meno luce. Nel bizzarro campionato che va a concludersi non è emerso un solo giovane italiano. All’inizio Conte ha creduto in Esposito, poi non l’ha usato più. Il Milan ha concesso 6 apparizioni a Gabbia. Il Torino 11 a Millico. Nella porta del Sassuolo si è visto come un lampo il primo portiere millennial, Turati. In compenso è tornato Ibrahimovic (classe 1981). Resta inamovibile Palacio (1982).
L’annata del ’99 fermenta, ma invano. Perché a Ibra si consente l’atteggiamento, in campo e fuori, che a un giovane costerebbe caro? Perché ha già dimostrato quanto vale? Ammesso che non fosse così anche a ventun anni, non è che si stanno viziando gli anziani? Bandito, giustamente, il verbo “rottamare”, non si sta smettendo di sperimentare? Un attimo: hanno appena affidato la guida del “calcio sperimentale” a Franco Carraro (1939).