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 2020  luglio 25 Sabato calendario

Orsi & tori

Che differenza c’è fra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il primo ministro olandese, Mark Rutte? In apparenza, una differenza enorme. In realtà, tutti e due sono eguali per quanto riguarda l’uso dei fondi europei da parte dell’Italia. Il premier Rutte si è battuto fino allo spasimo perché non fosse varato il Recovery Fund: Repair and prepare for next generation, di cui l’Italia sarà il maggior beneficiario. E ha perso. Il presidente Conte si sta battendo fino allo spasimo perché l’Italia non usi il Mes, il fondo salva Stati. Ed è destinato a perdere, se il Pd e Italia Viva guidata da Matteo Renzi non molleranno sulla determinazione a usare anche i fondi istituzionali per salvare gli Stati, visto anche che i fondi del Recovery arriveranno fra un anno. Se Conte non perdesse sul Mes, al quale è iper contrario per seguire l’aut aut dei 5Stelle, potrà essere per due ragioni: 1) perché dagli alleati di governo verrebbe accettato che l’Italia non ha bisogno dei soldi del Mes, ipotesi irrealistica vista la situazione dell’economia nazionale; 2) perché il presidente del Consiglio si convincerebbe che quei soldi è meglio prenderli, avendo mollato lui i 5Stelle per un’alleanza con altre forze politiche.Sia come sarà, le scelte sul Mes saranno la reale discriminante dei prossimi mesi per il governo e per il Paese.
Ma c’è un altro aspetto che accomuna Conte al tentativo di imperialismo di Rutte: la sua dichiarazione che i fondi che arriveranno dal Recovery, quelli li deve gestire lui.
Un vero peccato, perché sul piano pratico, se si tagliano queste punte di ego palesemente emerse anche nei vari interventi televisivi o su Facebook durante il blocco del paese, Conte ha lavorato mediamente bene. E per questo lavoro politico fatto mediamente bene un piccolo segreto c’è, oltre alle indubbie capacità: la scelta di avere un consigliere, sia pure non ufficiale, di altissima qualità ed esperienza. In molti lo sanno, in pochi, pochissimi lo segnalano, sicuramente per rispetto e stima del consigliere, sì da evitare che i 5Stelle riempiano i social di attacchi berlusconiani. Infatti, il consigliere più ascoltato da Conte è Gianni Letta, i cui suggerimenti per cavarsela anche nelle situazioni più difficili sono costantemente accolti dal presidente del Consiglio. Se vogliamo Letta è esattamente l’opposto di Rocco Casalino, il portavoce reso noto dalla partecipazione al Grande Fratello. A Casalino, giovedì 23, il Corriere della Sera ha reso omaggio addirittura con un titolino «I cammei di Rocco», tre fotografie e il seguente testo: «Piccole comparse, come Hitchcock nei film che ha diretto, al Consiglio europeo; a giugno 2018 al Senato, per il voto di fiducia, capotavola a Bruxelles al trilaterale sulla Libia di dicembre».
Gianni, no, neppure una mossa che trapeli sui giornali. Bravo Gianni, visto che pochi hanno la tua esperienza e ciò naturalmente non può che confortare gli italiani. Speriamo che il tuo consiglio di usare anche il Mes, su cui si è impegnato anche il tuo amico di sempre, Silvio Berlusconi, è necessario per un vero rilancio dell’Italia. Naturalmente, prendendoli solo con l’obbligo di realizzare tutte le iniziative per le quali si chiede, non certo per avere la troika. Conte ha giocato bene per il Recovery; faccia altrettanto per il Mes, perché questi soldi, come ripetono in continuazione sia il Pd che Renzi (e Berlusconi), hanno un doppio valore: colmano un buco di risorse per gli investimenti e impongono una disciplina nel perseguire e realizzare il programma per cui sono concessi. E di disciplina l’Italia ha bisogno, su questo i critici del Nord hanno perfettamente ragione. Il decreto Semplificazione è un pannicello caldo. Non si può certo attribuire responsabilità a Conte e al governo se l’Italia ha 165 mila norme nazionali e regionali contro una media di 5 mila di Francia, Germania e Gran Bretagna. Ma il governo e Conte in primo luogo hanno la responsabilità di capire e di operare per cogliere il momento di straordinaria emergenza che l’Italia, come tutti gli altri Paesi, sta vivendo, per tagliare tutti i lacci e lacciuoli di cui Guido Carli denunciò l’esistenza già 40 anni fa.
Inutile ripetere che oltre all’eliminazione di migliaia di norme, va seguita una nuova razionalità almeno nelle leggi che vengono prodotte ora. Si prenda l’introduzione del Superbonus per la messa in sicurezza degli edifici e il loro adeguamento per un consistente risparmio energetico. È il provvedimento che potrebbe avere la capacità di rimettere in moto tutto il settore edile, che da solo rimette in molto altri sei o sette settori industriali. Il Superbonus è in vigore dal 1° luglio e i lavori teoricamente dovranno essere eseguiti entro il 31 dicembre del 2021, ma ancora mancano molte certezze, poiché alcuni provvedimenti attuativi devono essere emanati. Ma il governo dovrebbe aiutare con chiarimenti immediati del testo di legge il pur bravo direttore generale, Ernesto Maria Ruffini, avvocato, nominato la prima volta in questa posizione chiave dal governo Renzi e proprio per le sue capacità richiamato da alcuni mesi, prima che Renzi facesse la scissione e diventasse determinante al Senato. Lo schema prevede che per procedere si assumano molte responsabilità i professionisti che seguono la pratica e che fanno le asseverazioni. Ma siamo sempre lì: nella poca chiarezza dei testi si sta già determinando una legittima ritrosia a procedere da parte dei professionisti (architetti, ingegneri, commercialisti) che temono di cadere nel tranello delle doppie, triple o quadruple interpretazioni di vari articoli della legge. L’interesse dei cittadini e delle imprese verso la possibilità di migliorare la qualità degli immobili è altissimo anche per la oggettiva generosità del Superbonus, ottenibile con crediti fiscali che è possibile cedere a terzi e che non provocano caduta di entrate per lo Stato perché recupera tutto automaticamente con il crescente gettito dell’Iva per la ripartenza dell’edilizia. Tutto perfetto, in apparenza. Ma il vecchio vizio di testi a pluri interpretazione permane. ItaliaOggi e Il Sole24Ore, i due giornali che hanno fra gli altri anche la missione di aiutare a capire le leggi, si sono fortemente impegnati. Da venerdì è in edicola un instant book specifico di ItaliaOggi, che si unisce ad altri inserti de Il Sole, ma anche per gli esperti dei due giornali il compito è veramente difficile. Ci vorrebbe tanto a emanare una nota interpretativa che faccia chiarezza e sia documento valido anche in sede giudiziaria per casi che potrebbero insorgere per i professionisti?
È su questi aspetti, oltre che sulla disponibilità di fondi, che si gioca la possibile ripresa. Sembra banale ma è così. Lo dimostra un altro caso. Il governo e il parlamento hanno compreso che con cali medi del fatturato del 40% centinaia di migliaia di aziende, soprattutto pmi, rischiano la chiusura o il fallimento. Per questo fin dall’inizio del Covid è stato deciso che le aziende, che hanno chiuso i bilanci 2019 con la dichiarazione di essere in grado di continuare l’attività, hanno diritto automatico a essere considerate in continuità anche per l’esercizio 2020. Ottimo, ma i numeri sono numeri e quindi se un’azienda (centinaia di migliaia di aziende) in effetti ha conti pessimi, pagherà questa condizione nel 2021, sia per la propria continuità, sia per i finanziamenti bancari, sia per ogni aspetto (per esempio, del capitale sociale) condizionato da quel numero finale di bilancio. Per questo alcune anime buone e competenti hanno pensato che si dovessero trovare correttivi reali senza gravare sulle casse dello Stato. Nicola Bedin, manager di straordinarie capacità al punto da diventare presidente di Snam, società chiave per il passaggio dal metano all’idrogeno progettato e gestito dal giovane ad Marco Alverà, aveva avuto un’idea brillante: congelare per un anno gli ammortamenti, che incidono spesso in maniera pesantemente sul risultato finale e quindi sul capitale sociale. Un’idea brillante perché a costo zero per lo Stato. Il viceministro dell’Economia, Antonio Misiani, l’aveva sposata in pieno andando anche in televisione per segnalarla. Era ideale per il decreto Rilancio. Invece è scomparsa dal radar. Per quali ragioni? Il racconto interno al parlamento è che ha bloccato la norma la Ragioneria generale, perché avrebbe comportato perdita di gettito; si è sentito dire addirittura 1,5 miliardi. Una letterale idiozia. Per due ragioni: il gettito fiscale deriva non solo dall’utile di bilancio e, quindi, questo gettito non verrebbe assolutamente toccato se varie centinaia di migliaia di aziende con il congelamento degli ammortamenti riuscissero a chiudere il bilancio 2020 più o meno in pareggio; quelle società che hanno un utile reale non applicherebbero certamente il congelamento degli ammortamenti, perché in questo caso avrebbero un utile maggiore formale, ma sul quale pagherebbero più tasse. Quindi il provvedimento non avrebbe nessun effetto negativo sulle entrate. Ragion per cui la storia delle minori entrate è una fola. Piuttosto, sarà il fallimento per perdita del capitale, senza congelamento degli ammortamenti, che provocherà una forte caduta delle entrate, visto che ci saranno più disoccupati e che la agognata ripresa sarà molto, ma molto più difficile.
La verità è che in parlamento ha forse avuto spazio la lobby dei puristi, che trovano il loro riferimento nell’Organismo italiano di contabilità (Oic), che pur essendo presieduto da un uomo di altissimo valore come Angelo Casò e composto da esperti come l’ex rettore della Bocconi, Angelo Provasoli, peraltro favorevole all’idea di Bedin, ha il dovere di seguire regole rigorose e quindi ha proposto, in alternativa al congelamento, la possibilità di prolungare, per i cespiti che lo consentano, la vita degli stessi e quindi di ridurre la rata annua di ammortamenti. Ma il parlamento non ha capito che se l’Oic deve ragionare su criteri tecnici, non ha nessuna opposizione di fronte a una legge dello Stato. Quindi, Signor presidente del Consiglio, Signor ministro dell’Economia, se non volete vedere una decimazione di aziende, riprendete questa idea del congelamento degli ammortamenti o comunque qualsiasi altra iniziativa legislativa che non si limiti, come è la situazione attuale, a dire: una società che aveva le condizioni per continuare in bonis l’attività imprenditoriale nel bilancio 2019, continua ad averla per legge anche per l’esercizio 2020. Come se il risultato finale di bilancio potesse essere cancellato e come se esso non incidesse in maniera decisiva sull’esercizio 2021. I numeri sono numeri e prima o poi pesano, sia per i revisori che per le banche, che, soprattutto per le sezioni fallimentari dei tribunali. Quindi, occorrono provvedimenti che consentano di avere bilanci finali anche formalmente tali da poter far scrivere agli amministratori che, nonostante la tempesta del Covid, l’azienda può operare in continuità. Un tale provvedimento è fondamentale se non si vuole distruggere il patrimoniale aziendale del Paese e si vogliono evitare cause legali, richieste di fallimento, iniziative dei tribunali, e impossibilità delle banche di erogare finanziamenti per i vincoli che esse stesse hanno.

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Sotto la spinta sempre più irrazionale del presidente Donald Trump, cresce la diffidenza di buona parte del mondo occidentale verso la Cina. Ma nello stesso tempo l’Occidente nel suo complesso non può fare a meno di cercare il modo di fare affari con le aziende cinesi. Mentre Huawei rappresenta la grande ascesa tecnologica e quindi anche di potere della Cina, Trump pensa, assieme ad alcuni capi di altri Paesi occidentali, che il modo per fermare la crescita di potere dell’ex Celeste impero sia quella di bloccare le forniture della regina del 5G. A giudizio di molti osservatori, inclusi gli analisti di The Economist, la soluzione è quella di trovare una nuova architettura del commercio internazionale in un’epoca di forte diffidenza fra i due mondi. Sarà possibile trovare questa nuova architettura? A livello globale ciò potrà essere tentato solo all’esito delle elezioni americane. E nel frattempo, l’Italia, che è l’unico paese del G7 ad aver firmato un memorandum per la Nuova via della Seta? La stella polare per l’Italia deve essere la Germania, che a differenza non solo degli Usa ma anche dell’Inghilterra e di altri Paesi europei non ha proferito parola sui presunti pericoli di spionaggio della Cina. In questo modo, sta salvaguardando la sua posizione di primo partner commerciale della Cina. Quindi, Signor presidente Conte, occhio a non farsi chiamare troppo spesso Giuseppi.