Il Messaggero, 25 luglio 2020
Biografia di Ignazio di Loyola
Il 31 luglio 1556 moriva a Roma Ignazio di Loyola, il fondatore della Societas Iesu: l’ordine dei gesuiti, che per oltre due secoli influenzò la politica europea, diffuse il cattolicesimo ai quattro angoli del mondo, educò intere classi dirigenti, morì e risorse, fino a dare alla Chiesa l’attuale Pontefice.
Don Inigo de Onez y Loyola era di famiglia nobile e possidente. Ebbe un’educazione sommaria, fu indirizzato alla carriera militare e non manifestò aspirazioni religiose. Come Agostino, ebbe una giovinezza dissoluta, contenuta solo dalle mura delle guarnigioni. Trascorse quattro anni di frustrante inattività a Pamplona aspettando invano l’arrivo dei Tartari, che alla fine si materializzarono sotto le bandiere francesi.
IL VALORE
Il giovane si batté con valore, ebbe una gamba frantumata e subì una serie di dolorose operazioni. Durante la lunga convalescenza non perse, come Leopardi, la poca fede che aveva, ma la consolidò con edificanti letture. Alla fine, coniugando la Legenda Aurea con il suo spirito cavalleresco e avventuroso, decise di mobilitare il Vangelo e portarlo in battaglia. Intanto era tormentato, e spronato, da ricorrenti visioni celesti; digiunava, si flagellava e soprattutto pregava. Da questa esperienza nacquero quegli esercizi spirituali che costituirono, per secoli, la più efficace palestra intellettuale e morale per ogni devoto cristiano. Quando si sentì pronto, organizzò quel viaggio in Terrasanta cui aspirava dalla conversione. Fu l’inizio di una serie di traversie impossibili da raccontare in una pagina: predicava, confortava, e assisteva i peccatori e soprattutto le peccatrici. L’Inquisizione si insospettì, lo incarcerò per un paio di mesi, ma alla fine lo scagionò. Deluso da questa incomprensione, Inigo si recò a Parigi, e riprese,con Francesco Saverio e altri compagni una vita ascetica e penitente. Finché il 13 agosto 1534, in quella collina di Montmartre che secoli dopo avrebbe visto le sbronze di Utrillo, le turpitudini di Toulouse-Lautrec e le novità di Picasso, tutti fecero voto perenne di castità e povertà, costituendo l’embrione della Societas Iesu.
I DUBBI
L’obiettivo era la conversione degli infedeli e degli increduli; gli strumenti, una disciplina ferrea e l’ubbidienza esclusiva al Papa. Si recarono a Roma, e Paolo III li ricevette con cauta benevolenza, ascoltò i dubbi di alcuni sospettosi cardinali ma alla fine, il 27 settembre 1540 sanzionò la nascita della congregazione. Il nome Gesuiti apparve solo quattro anni dopo in una versione dispregiativa coniata da Calvino. Quando Ignazio morì, i membri erano alcune centinaia. Entro pochi anni sarebbero diventati migliaia, con missionari inviati in tutto il mondo, dal Giappone al Brasile. Qui – servendosi di schiavi negri – che gli stessi gesuiti consideravano figli di un dio minore, bonificarono, costruirono, convertirono ed educarono. Il fine giustificava i mezzi.
A differenza dei domenicani e di altri ordini regolari, i gesuiti erano relativamente liberali. Sapevano che il rigore di alcuni precetti era incompatibile con la nostra imperfetta natura, e quindi elaborarono teorie che adattavano la morale al caso concreto. In realtà questo casuismo non era così grossolano, e seguiva l’insegnamento dell’Ecclesiaste che non bisogna esagerare neanche nella virtù.
LO SPERGIUROTuttavia alcuni membri eccedettero nell’indulgenza, ed inventarono formule ambigue come il probabilismo o la riserva mentale, che rischiavano di giustificare tutto, dallo spergiuro, al tirannicidio. Era troppo. Tuttavia gli attacchi più intelligenti e feroci non arrivarono né dagli scettici agnostici né dall’attenta Chiesa Romana, ma da Blaise Pascal. L’intransigente giansenista fulminò con le sue lettres provinciales tutte queste fumisterie cavillose, che conducevano a un pericoloso relativismo. Non convinse nessuno allora, e tantomeno convince noi moderni, ma la sua prosa brillante, forse la più bella della già gloriosa letteratura francese, fu un colpo mortale all’immagine del gesuitismo che da allora fu – ingiustamente – sinonimo di untuosa ambiguità.
In realtà i gesuiti non avevano pretese teologiche rivoluzionarie. Questi esercizi dottrinali non erano finalizzati a costruzioni dogmatiche, ma ai risultati concreti cui miravano le due loro missioni congeniali: l’educazione dei giovani e la direzione spirituale dei governanti. E in entrambi i settori conseguirono tali successi da esserne alla fine le vittime.
GLI ALLIEVI
Il monopolio dell’istruzione superiore creò infatti generazioni di allievi disciplinati nel comportamento e più ancora nello studio. Inoltre, l’autorità sui potenti si dispiegò non solo nel ministero della confessione, ma in quello ancor più incisivo del consiglio politico, e i maligni dissero che tale influenza si insinuava fino al letto di alcune regine. Così, le autorità estromesse dalle loro funzioni reagirono accusando i gesuiti dei misfatti più inverosimili, spesso esagerando piccole colpe dalle quali anche questi soldati di Cristo non erano esenti. La loro stessa elasticità morale era sospetta: persino San Carlo li rimproverò di esser troppo indulgenti. Infine, con l’avanzare del razionalismo e della secolarizzazione, questi difetti sopravanzarono i meriti, e molti sovrani, ancorché devotissimi, li cacciarono dai loro regni: i gesuiti furono espulsi dal Portogallo nel 1758 dalla Spagna nel 1767, e quindi da numerosi stati europei. Allarmato da tanto chiasso, Clemente XIV nel 1773 soppresse l’ordine. Sembrava finita.
LA TRADIZIONE
Invece la tradizione di Ignazio, che il 12 marzo 1622 era stato canonizzato, ebbe il sopravvento. La Societas fu ricostituita, tra varie traversie, da Pio VII nel 1814, e presto riassunse le dimensioni e l’autorevolezza precedenti. Con la progressiva laicizzazione degli stati questa influenza diminuì di nuovo, e in Italia diventò conflitto quando Lamarmora entrò in Roma. I gesuiti difesero l’assetto più conservatore del cattolicesimo, persino quell’incredibile Sillabo di Pio IX che condannava ogni forma di modernità.
Da questo atteggiamento reazionario i gesuiti passarono, con l’andar dei decenni, a posizioni diametralmente opposte, riaccendendo le polemiche sulle interferenze delle tonache sui poteri dei laticlavi. L’elezione nel 2013 del primo Papa gesuita ha riproposto questo dibattito, che ormai ha perso qualsiasi connotato spirituale e pare concentrarsi solo su questioni sociali ed economiche. I credenti più sensibili sono forse disturbati da questa commistione di sacro e profano, ma i gesuiti, nella loro interpretazione essenzialmente pragmatica della Buona Novella, sono in realtà coerenti con la loro tradizione.