Ci sono romanzi strutturati come epistolari (Le relazioni pericolose, ecc.), ma che idea farsi di fronte a un’autentica raccolta di lettere? Rosellina Archinto ci ha costruito sopra una casa editrice. Pure, la leggibilità di scambi tanto intimi e privi di un’idea generale che li unifichi è dubbia. Abbiamo testato con i lettori quattro raccolte mandate in libreria proprio adesso, e il risultato non è sconfortante. L’intruso, tra i quattro, sarebbe Giovanni Arpino: le sue sono lettere per finta, spedite a personaggi famosi dell’epoca, solo pretesti per dare a un articolo - o a un editoriale polemico - una forma inaspettata.
I quattro titoli di questa settimana:
• Giovanni Arpino Lettere scontrose minimum fax
• Charles Bukowski Sulla scrittura Guanda
• Lev Tolstoj Vi prego di strappare questa lettera Elliot
• Vita Sackville-West, Virginia Woolf Scrivi sempre a mezzanotte Donzelli
Ed ecco l’esito dei sei confronti:
Arpino - Bukowski 6 a 4 Tolstoj - Woolf 1 a 10 Arpino - Tolstoj 3 a 6 Bukovski - Woolf 4 a 6 Arpino - Woolf 1 a 8 Bukowski - Tolstoj 3 a 2
La classifica ( tra parentesi i voti ricevuti da ogni titolo): Sackville-West, Woolf : 6 (24) Bukowski : 2 (11) Arpino : 2 (10) Tolstoj : 2 (9)
Ed ecco i giudizi dei lettori
SACKVILLE-WEST, WOOLF Parecchi lettori arrossiscono per il fatto che leggere un epistolario come questo equivale a spiare un’intimità dal buco della serratura. Li consolerò avvertendoli che le due sapevano che i posteri le avrebbero guardate, e curarono assai - specie Virginia - la forma dei testi. Quindi, alla maniera di Tanizaki, fingevano di esser sole, sapendo bene delle migliaia di occhi che le avrebbero contemplate. All’amica Eva Mascolino, 25 anni, catanese, traduttrice e scrittrice, che parla di « conturbante gioco di potere » , diciamo quindi che si tratta di un gioco ancora più complicato di quel che sembra. Marco Marchetti, psichiatra e criminologo, 69 anni, bolognese di Roma: «Sembrano lettere d’amore e di desiderio, e amore e desiderio intensi ci sono sicuramente stati, ma sono lettere che ad ogni momento testimoniano anche della estrema lontananza delle due protagoniste, una lontananza, una distanza, che solo il contatto fisico o gli sguardi ammirati dell’una per l’altra possono forse momentaneamente annullare. Si scrivono veramente di lontano, da continente a continente, costantemente giocando sulle incertezze del servizio postale che, allo sguardo di un fruitore odierno, appare straordinariamente puntuale. Vi è una continua tensione ma mai, a me sembra, al di là del dichiarato, un momento di vera intimità, qualcosa di veramente caldo e confortevole».
Questo «desiderio inappagato» (Francesco Camodeca), questo intellettuale arabesco dei sensi («serva e padrona a turno » , scrive Roberta Poggio) sembra invece al lettore Teodoro Di Leva, 68 anni, tecnico in una azienda di apparecchiature elettroniche ad Arona, «noiosissimo ». Felice l’occhio della lettrice Miriam Gargiulo, 69 anni, primario medico a Napoli, che in un angolo della stanza dove si svolge questa partita amorosa ha scorto le ombre dei «rispettivi mariti, rispettosi del rapporto tra le mogli, in questo molto a noi contemporanei».
BUKOWSKI Qui ci sono lettere scritte a parecchia gente, molte a editori o direttori di riviste «in cui si mischiano richieste di pubblicazione, commenti sui rifiuti avuti, sulle scelte di ammorbidire i testi, con alti e bassi tipici di un rapporto amicale» riassume la farmacista Loredana Mancuso, che si chiede pure se, vista la disinvoltura con cui Bukowski dà addosso a donne, neri, omosessuali, sarebbe stato possibile pubblicarlo oggi. Giuseppe Zanotti battezza il nostro « D’Annunzio dei bassifondi», Antonella Botti parla di «stile sangue e arena » , Anna Brogi ne definisce la vita come « apparentemente stracciata». Lino Sasso, un bilaureato di 69 anni, ceo di molte aziende nel settore dell’elettronica nonché pittore, stronca: « A me sembra che l’autore gigioneggi eccessivamente costruendo su di sé un personaggio, di moda a quel tempo in America, di artista maledetto e trasgressivo. Qualunque sia l’argomento delle lettere descrive inutilmente, e stonatamente, quanto abbia bevuto, fumato o fatto sesso. Il linguaggio stupidamente irriverente è usato spesso fuori luogo per poi essere contraddetto dalla cerimoniosità con cui si rivolge agli editori che gli permettono di vivere alla maniera della borghesia rifiutata a parole».
È d’accordo Lanfranco Mancini, avvocato pisano di 79 anni, autore tra l’altro di libri spirituali: « Troppo spesso una scrittura nervosa, fatta di frasi mozze, avviluppate l’una all’altra come i rami di un gelsomino, mille cose aggrovigliate che si affastellano, si pestano, si scontrano, peggio che in Joyce, totale assenza di equilibrio, che non sai se dovuta ai suoi eccessi di vita oppure studiata al tavolino per stupire, o forse tutte e due queste cose e altro ancora».
ARPINO Lettere scritte sul settimanale Tempo e indirizzate a celebrità dell’epoca. «Non sono (con alcune eccezioni) lettere accomodanti. Anche quando sembrano (ma sembrano solo) encomiastiche contengono sempre un richiamo, un ammonimento, una malcelata reprimenda. Talvolta sono decisamente critiche, se non ostili, in nome di una agognata onestà intellettuale. Non si sarà fatto molti amici Arpino in quel periodo! » (Pierluigi Lopresti, 74 anni, dirigente pubblico a Napoli). Altri commenti: «Notevole la capacità di giudicare i politici senza cadere nell’insulto vero e proprio » ( Francesco D’Orsi), «un cane sciolto non appartenente ad alcuna chiesa, colmo di aspettative deluse di fronte alle debolezze di un paese incorreggibile» (Marcello Luberti), « uno che guida contromano » ( Massimo De Felice), «mi sembra un puro esercizio di stile, in cui la scontrosità si esercita sul nulla » ( Lisa Pieraccini), « ringrazio questo libro per lo spaccato di un tempo perduto bello come una foto in bianco e nero» (Anna Brogi), «ingiustificato tono di superiorità paternalistica» (Luciano Maria Barone), « un amarcord poco suggestivo, infarcito di giovanile supponenza » ( Mauro Spadafora), « una grande occasione per comprendere il passato » ( Rebecca Bozzi). Il giudizio sullo stile di Annamaria Vernazzani, «farmacista prestata alla scuola», di anni 91: «lingua ricca, direi sontuosa » . Bella la definizione di Aldo Moro sottolineata da Maria Grazia Bonfanti: «Ago di una bussola astratta».
TOLSTOJ Scarso gradimento per questo Tolstoj, che a trent’anni corteggia la zia duchessa Aleksandra, poi, respinto, se la tiene comunque amica fino ai 75, trattandola «con i guanti bianchi e la marsina morale» (Antonella Botti). « Un grande esercizio di stile e di buoni sentimenti (almeno a parole)» dice Giuseppe Zanotti, ordinario di Chimica a Padova («mi occupo principalmente della determinazione della struttura tridimensionale delle proteine»). Infatti i due, ben sapendo - anche loro - che i posteri si sarebbero messi a guardare discutevano alto: «L’uomo, lo scopo della vita, la fede, il matrimonio, il dolore della perdita, la sofferenza delle persone, la fame, la malattia, quello che noi possiamo fare per gli altri e quello che vorremmo ma non possiamo, il rapporto con la natura, l’importanza dell’educazione » (Anastasia Rouchota). Soprattutto la religione: «Tolstoj sviluppa il suo personale cristianesimo che lo condurrà alla scomunica, Aleksandra lo richiama all’ortodossia. Lui le chiede di non " convertirlo", lei un po’ accetta, un po’ continua a provarci, con affetto e dolcezza » (Pierluigi Lopresti).
Dietro le schermaglie tra zia e nipote, si intravede la Russia, «una Russia incline all’ozio, al lusso, attraversata da una corruzione profonda, che non si fa problemi di acquisire mezzi di ogni genere in modo disonesto, paragonata ad un formicaio in cui riuscire ad essere uomini e a restare cristiani è difficile ma doveroso per la tutela della propria dignità» (Antonella Botti). «Le lettere tra Tolstoj e Aleksandra sono una perfetta partita di scacchi tra due menti che godono delle loro affinità elettive ed hanno concordato sin dall’inizio di non dare scacco matto» (Grethel Ingrid Mavrovic’). Lisa Pieraccini: « Non posso che amare incondizionatamente un uomo che si definisce " una vecchia patata marcia e mal cotta" » . La zia invece non risulta troppo amabile: « poliglotta, dama della corte imperiale, benefattrice, ma sostanzialmente triste ed ossessiva» (Giovanni Cappellari).
Da sabato prossimo cominceremo a dar conto del Torneo letterario di Robinson attraverso il quale i circoli di lettura di tutta Italia hanno scelto il più bel libro di narrativa del 2019.