Robinson, 25 luglio 2020
Smisurata preghiera dei mistici
La mistica cristiana, di cui è da poco uscito il primo volume (Mondadori, I Meridiani), è soltanto la prima parte di un’opera immensa, che attenderà molti anni per essere compiuta e gustata dai suoi moltissimi lettori. Il curatore è Francesco Zambon, professore all’Università di Venezia e di Padova: una sede classica, dove molti anni fa insegnò un grande studioso, Carlo Diano, autore di un libro, Forma ed Evento, che possiede un’estrema intensità intellettuale e formale.
Questo volume, curato da Francesco Zambon con Marco Rizzi, Sabino Chialà, Boghos Levon Zekiyan, ha inizio con gli scritti gnostici, Origene, Atanasio, lo pseudo- Dionigi l’Areopagita, Simeone il Nuovo Teologo. Attraversa la Mistica Siriaca, forse la parte più bella, commentata da uno studioso degno di Carlo Diano, Sabino Chialà. Percorre rapidamente la misteriosa Mistica Armena con Gregorio di Narek: «Signore mio, o Signore, / datore dei doni, bontà per natura, / il cui dominio si estende egualmente su tutto, / che solo crei dal nulla ogni cosa. / Glorificato, imperscrutabile, tremendo, terribile, terrificante, forte, violento, / insostituibile, inaccessibile, inafferrabile, / ineffabile, invisibile, incomprensibile, / insondabile, impalpabile, inesplorabile, / senza principio, senza tempo. / Scienza senza caligine, / visione senza incertezze, / sussistenza autentica, alto e umile. /... / O sole giusto, o regno benedetto, forma di luce, desiderio incontenibile, / altissimo inscrutabile, possente inenarrabile, / tripudio di bontà, visione di speranza, lodato celeste, Re di gloria, / Cristo creatore, vita proclamata».Mi sembra un brano meraviglioso: degno ( non esagero) di Giovanni della Croce, il grande teorico della moderna coscienza mistica.
Alle spalle, molto lontano, appare un filone assolutamente ebraico, che appartiene all’Antico Testamento, il Cantico dei Cantici, questo puro capolavoro, che qui non viene pubblicato, sebbene abbia avuto una straordinaria influenza sulla mistica di ogni specie e natura. Come naturale, Zambon parla del Fedro e del Simposio di Platone: tutto discende da Platone: la mania platonica supera la ragione, invade l’estasi, domina la mente, dà luce, attraversa regioni misteriose, affonda nell’abisso; e invade tutta la tradizione occidentale fino al pieno Rinascimento e oltre di esso, perché persino uno scrittore leggero e frivolissimo come Giovan Battista Marino e il suo smisurato Adone discendono dalle Enneadi e da Proclo – l’ultima luce. Nella storia della Mistica ci sono alcuni momenti decisivi: in primo luogo la Teologia mistica dello pseudo- Dionigi l’Areopagita. Tutto si capovolge: Dio non è più, come per Platone, splendida luce: l’essenza di Dio diventa invisibile e inconoscibile: contemporaneamente luce e tenebre; dobbiamo affrontare il compito di conoscere Dio non attraverso la luce, ma attraverso la tenebra: questo Dio, di cui stiamo leggendo, è suprema tenebra, che si capovolge in luce; e seguiamo la tenebra per giungere a Dio – perché il nostro percorso verso Dio non è rettilineo, ma un capovolgimento, un rovesciamento, un’oscurità, un abisso.
Nel libro di Zambon, Gesù Cristo è rimasto la stessa figura dei Vangeli: i testi parlano di lui come se fosse qui, vivo, ora, percosso, e flagellato e appeso a una croce, mentre parla terribilmente con Dio e lo invoca con parole oscure. Cristo è presente, come se questo tempo fosse quello dell’Ultima cena, come se Giuda tradisse e si impiccasse davanti agli occhi di noi lettori. Non è passato nemmeno un barlume di tempo. Noi vediamo, tocchiamo, baciamo Cristo, che soffre e suda dinanzi a noi, come se fosse appeso alla croce, diviso tra i ladroni, e parlasse con Dio senza ricevere una risposta comprensibile – perché Dio non risponde mai esattamente alle nostre domande. Chi è appeso alla croce non è Gesù Cristo, ma la terza figura della Trinità, lo Spirito Santo che lo sostituisce completamente, senza in realtà venire sostituito da Nulla.
Non si può immaginare una identificazione più profonda di quella tra il fedele – gli innumerevoli fedeli che Zambon evoca in questo libro – e lo Spirito Santo, che si distingue da Gesù per ragioni che nessuno di noi riesce a comprendere e a raccontare. Lo Spirito Santo, che aveva avuto una presenza così singolare nei Vangeli, è qualcosa di incomprensibile. Noi possiamo ripetere soltanto il suo Nome: non ne ritroviamo la figura e nemmeno la voce. Non sappiamo chi sia, sebbene incomba su di noi e tutte le migliaia di personaggi di questo libro ripetano il suo nome misteriosissimo.
Leggendo il grande libro, o tanti altri che lo seguirono, ( come Meister Eckhart, o la più grande di tutte le mistiche, Ildegarda di Bingen, così mistica da studiare le erbe, le pietre, le sfere celesti, come una vera mistica deve fare), affidiamo alla nostra memoria Origene, Atanasio, Gregorio di Nissa, Massimo il Confessore, Simone il nuovo Teologo, le odi di Salomone, i racconti di Isacco di Ninive e Gregorio di Narek, Agostino d’Ippona, Guglielmo di Saint-Thierry, Bernardo di Clairvaux, Bonaventura da Bagnoregio, Ubertino da Casale, Jacopone da Todi, Chiara di Assisi, Angela da Foligno, con le sue durezze e le sue visioni meravigliose. Infine Doucelina di Digne e i suoi rapimenti estatici: «il suo amore per Gesù Cristo generò in lei nuovi desideri, per i quali si inebriava di nuovi ardori, tanto da essere innalzata al di là di ogni cosa, persino fuori di se stessa». I fedeli di Genova e delle Fiandre la vedevano sollevarsi in aria, così da restare sospesa per effetto della forza meravigliosa che la trascinava verso Dio, senza alcuna apparenza o appiglio: stava così in alto da terra che il marito e il figlio di una sua amica, le baciavano devotamente le piante dei piedi. E questo spettacolo li colmò di una straordinaria gioia e di una grandissima letizia spirituale. Incominciò a camminare diritta e completamente rapita in estasi, con gli occhi fissi al cielo e il cuore innalzato verso Dio. Si inginocchiò, venerò le reliquie. Poi si alzò e incominciò a cantare camminando da un lato all’altro del dormitorio, come se stesse seguendo una processione. E dopo aver camminato un poco cantando, si fermò ad ascoltare; e, dopo aver ascoltato per qualche momento, stando ferma, rispondeva e ricominciava a cantare». Sembrava che non fosse di questo mondo, perché nessuno poteva sentire quella musica celeste né cogliere quelle indicibili parole. Pareva che quel canto le consumasse tutto il corpo e le midolla delle ossa.
Il canto aveva una dolcezza tale da mandarla in delizia. Talvolta diceva: “Nuovo Gesù, nuovo”. Altre volte sembrava dire: “Nuovo Gesù, nuova Gerusalemme, nuova città del Santo”. Durante quel rapimento, le venivano rivelate e mostrate grandi cose, riguardanti la sublimità e la maestà di Dio. Ne dava segni evidenti, mostrando con il braccio destro, in modo mirabile, l’immensa potenza, che scorgeva in Dio.
L’ultimo testo dell’antologia di Zambon, è quello di Caterina Fieschi, nata nel 1447, una genovese, che a sedici anni aveva sposato un uomo violento e sregolato. Dopo dieci anni di matrimonio, ebbe un’improvvisa crisi religiosa, testimoniata in un testo: Miranda vita e beata conversione.
Allora alternava severissime pratiche ascetiche alle quali si accompagnavano strani fenomeni psichici e un’intensa attività di assistenza ai malati e bisognosi. Intorno a lei si formò presto una sorta di cenacolo spirituale, formato da uomini e donne, chierici e laici, che la riconoscevano come maestra di una specie di oratorio. Nacquero così la Compagnia del Divino Amore e del Mandiletto.
«Io mi sento un contento senza pascimento, uno amore senza paura (cioè di mancarne); perduta la fede in tutto, la speranza morta. Non vedo più unione, perché non so, né posso vedere solo Dio solo, senza me; la quale non so dove mi sia, né lo cerco, né lo vorrei vedere, né sapere, né averne nuova. Sono posta e sommersa nella fontana del suo netto amore, come se fussi nel mare sotto aqua, che da canto alcuno non potessi toccare, né vedere, né sentire: solo aqua. Così son sommersa in questo amore... il quale liquefà tutte le midolle dell’anima e del corpo, che alcuna volta mi sento come se il corpo fusse fatto di pasta... pare che io non sia più di questo mondo... mi vedo tanto alienata dalle cose terrene, massime delle proprie, che quasi in vederle con l’occhi non le posso sopportare».
«Non posso – Caterina continuava – lavorare, andare, stare, né parlare; mi vedo essere quasi una cosa inutile al mondo... E invero se non fusse che Dio mi provede, qualche volta saria al mondo tenuta per matta, perché vedo che vivo quasi sempre fuori di me». «Il mio Mi è Dio, io non conosco altro Mi che esso Dio mio». Queste frasi rivelano, insieme, il trionfo e il fallimento della mistica – trionfo e fallimento, luce e tenebra, vertigine e abisso.
Come diceva San Tommaso d’Aquino, la mistica è la Cognitio Dei experimentalis. Jean Gerson aveva commentato: « Theologia mistica est cognitio experimentalis habita de Deo per amoris unitivi complexum ». Ma nell’ultimo capitolo dei nomi divini, Dionigi l’Areopagita aveva aggiunto: «La teologia mistica è irrazionale e folle, una sapienza insensata che eccede coloro che la celebrano». Dunque la mistica è una follia: dunque la mistica è insensatezza, e i maggiori studiosi moderni non fanno che illustrare e rivelare questo terribile fallimento, da cui dipende tutta la profondità e l’intensità della nostra vita spirituale.