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 2020  luglio 25 Sabato calendario

A. M. Homes e la voglia di tenerezza

Leggiamo A. M. Homes dal 2001. Nel 1999 il New Yorker l’aveva messa nella lista degli «scrittori per il nuovo millennio», tutti meno che quarantenni – assieme a lei c’erano Jonathan Franzen e David Forster Wallace, Michael Chabon e Nathan Englander. Minimum fax aveva scoperto e pubblicato La sicurezza degli oggetti ( era già trascorsa una decina d’anni dall’originale, risalente al 1990). Scoprimmo l’uso erotico della Barbie, in una delle sue prime storie. Scritta mentre studiava all’università dell’Iowa e si era imbattuta in una bambola «facile da svestire» : bottoni più grandi per le bambine più piccole. In un altro racconto una coppia mollava i figli dai nonni per farsi una pipa di crack.
I genitori si chiamavano Elaine e Paul. Qualche anno dopo ( nove, nel mondo reale) li abbiamo ritrovati nel romanzo Musica per un incendio, tanto nevrotici e annoiati da dar fuoco alla loro casa. Sorpresa: molti racconti di Giorni terribili — ora da Feltrinelli, l’originale è del 2018 – sembrano più interessati alla sorte dei figli abbandonati che alle smanie di libertà dei genitori. Vent’anni fanno la differenza, anche per una scrittrice che disegna con freddezza e crudeltà i suoi adulti e i suoi ragazzini. Spietata con lo stile di vita americano, nei sobborghi residenziali di New York o a Los Angeles, raccontata in un reportage e sfondo del romanzo Questo libro ti salverà la vita.
Nel racconto L’ultima stagione felice, un padre se ne va via senza dire una parola, portandosi via il trenino elettrico appena regalato al figlio. Lo scopriamo in flashback, quando il rampollo ormai adulto torna a Disneyland. Ha una mappa, costruita con le foto dell’album di famiglia: vuole visitare le stesse attrazioni di quando era stato con i genitori al Magic Kingdom di Orlando. Un uomo solitario al parco non è previsto, desta sospetti. Sulle tazze volanti del Cappellaio Matto cerca presagi di separazione che da piccolo non aveva saputo cogliere.
In Di chi è questa storia, e perché le gira sempre per la testa? una figlia – in età da psicoanalista – si ferisce con le spine delle rose. Si lagna perché la madre sposta continuamente i mobili, mentre nota sul divano terapeutico un capello biondo diverso dai suoi castani. La madre era a sua volta una bambina senza padre, secondo la versione ufficiale. E così la nonna (il lettore scoprirà la verità in un cespuglio di rose). «Esiste qualcuno che abbia una vita solo sua?» chiede la ragazza. Non è una vera domanda, siamo tra l’invocazione e la preghiera.
Il passaggio dai ragazzini terribili molestatori di Barbie – consenziente perché il compagno Ken è provvisto di «un inservibile bozzo» – ai ragazzini sofferenti toglie a A. M. Homes la perfidia che le conoscevamo. Torna nel racconto che dà il titolo alla raccolta. Giorni terribili: il più lungo e articolato, uno dei pochi che esce dalla cerchia familiare e ha un cast di personaggi diversamente esemplari.
Sono Rakel e Erik, la Scrittrice Trasgressiva e l’Inviato di Guerra, entrambi relatori al convegno “Genocidio/ Genocidi”. Dove si parla, tra altre più serie faccende, della famigerata “appropriazione culturale”. Può uno scrittore, in questo caso una scrittrice, raccontare l’Olocausto se non l’ha vissuto? Fino a qualche anno fa sembrava possibile, ora la letteratura si sta restringendo attorno all’autobiografia, o alla testimonianza. Ha smesso di essere fiction, l’invenzione e la fantasia mettono in allarme.
«Che diritto ha lei di raccontare la mia storia?» chiede la sopravvissuta ( stavolta è una vera domanda, indagatoria). Rakel ha l’impressione di trovarsi davanti a una gara, con il pubblico chiamato a giudicare. Siccome ogni situazione ha il suo lato grottesco, scopriamo che neppure il cocktail party si chiama più così. Troppo festoso. È ora un semplice” raduno”, onde non offendere chi non beve per motivi religiosi, chi ha frequantato gli Alcolisti Anonimi, chi prende medicine che interagiscono con l’alcool. Va molto l’analcolico “Libertà e Unità” (anche per rispetto allo sponsor che produce succhi di frutta). «Non sapevo che eri ebrea, pensavo fossi gay» è una delle battute che ricordano la A. M. Homes di qualche anno fa, sempre pronta a spiazzare – se non mettere a disagio – i lettori.
La fissazione sui figli – detto a uso dei distratti: niente di offensivo, per un narratore: è necessario coltivarne almeno una; l’altra in questi racconti è il cioccolato – si estende al bambino non ancora nato, solo sognato da una coppia che già litiga. Si può sempre trovarne uno al supermercato, come capita a una famiglia, già con due figli, che organizza gare tra gli scaffali. Lista della spesa in mano, vince chi fa prima a riempire il carrello. La A. M. Homes che ricordavamo non si sarebbe lasciata scappare un’immagine tanto banale, in materia di consumismo.
Aveva una scheggia di ghiaccio nel cuore, qualità che secondo Graham Greene chi racconta storie – anche meno spietate – deve possedere. Il ghiaccio si è sciolto, e un racconto come La Grande fiera degli uccelli da gabbia scivola verso il manierismo.