Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  luglio 25 Sabato calendario

Blu, il colore che non c’era

All’inizio il blu non c’è. Assente nelle pitture parietali del Paleolitico, dove dominano i rossi, i neri, i bruni e gli ocra; niente nel Neolitico, dove appaiono il giallo e il rosso; presente nell’antico Egitto, ma solo nella pittura funeraria; in Grecia è raro e a Roma considerato un colore cupo, di cui si tingerebbero i popoli barbari. Strano, eppure il colore di cui oggi la maggior parte degli abitanti del Pianeta, con l’eccezione di alcuni paesi orientali, dicono di preferire in assoluto, è stato per secoli il meno amato. Una ragione c’è. Pur essendo così presente in natura, il blu è difficile da padroneggiare e soprattutto da riprodurre. Per questo, come scrive Michel Pastoureau, ha avuto per lungo tempo un ruolo secondario nella vita sociale e, poiché il colore è prima di tutto una costruzione sociale, la sua assenza costituisce una vicenda interessante. 
Certo il colore è un fenomeno visivo, un evento biologico prima di tutto, ma non bisogna sottovalutare la sua percezione, un fenomeno culturale. Pastoureau parla di colore “reale”, colore percepito e colore nominato, tre realtà assai diverse tra loro per indicare il medesimo “oggetto”, così che il colore rappresenta qualcosa di misterioso e persino d’inafferrabile. Il chimico lo vedrà in modo diverso dall’artista, il linguista dal neurologo, lo psicologo dallo storico; tuttavia, ripete lo studioso, i problemi del colore sono «in gran parte sociali e ideologici». La storia del blu è lì a dimostrarcelo. Nella sensibilità del mondo classico e di quello medievale i due assi principali del colore sono la luminosità e la densità, così che la coppia fondamentale è costituita dal bianco e dal nero; è il rapporto con la luce, con la sua intensità e purezza. Il rosso è poi il terzo colore presente: nero cupo, rosso denso, entrambi opposti al bianco. 
E il blu? Per esserci c’è, ma bisogna averlo a disposizione come pigmento ricavato da una pietra, il lapislazzuli, e come pigmento, attraverso il guado, una pianta erbacea. La storia del blu è legata alla possibilità di disporne come materia colorante. Fino al XIII secolo dell’età cristiana non è presente nell’abbigliamento, per quanto in Oriente una materia colorata blu esiste, l’indaco, proveniente da un arbusto dall’India. Fino a che nella teologia il colore non è stato pensato come luce, ma solo come materia, ovvero come qualcosa di spregevole, il blu sarà assente. La rivoluzione comincia con l’abate Suger nella chiesa di Saint-Denis: il blu è luce, luce divina nelle vetrate dopo l’anno 1000. A dar man forte a questo cambiamento arriva il manto della Madonna, il blu divino, e poi anche i re di Francia, che da San Luigi in poi lo indossano e lo pongono nel loro stemma. A favorire l’avvento del blu sono i progressi nella tintura con l’estendersi della cultura del guado. La storia del colore la fanno i tintori con le mescolanze e la mordenzatura, come racconta Philip Ball, anche se non si sa bene se è la società ad aver imposto ai tintori il blu o piuttosto il contrario. Fatto sta che ora economicamente paga e il blu è molto richiesto: chimica e simbolismo non sono facilmente dissociabili. 
A metà del XII secolo un nuovo ordine sociale corrisponde un nuovo ordine dei colori. Da tre si passa a sei: bianco, rosso, nero, blu, verde e giallo. L’asse rosso-blu diventa fondamentale: sono colori contrari e lo restano ancora oggi. A dargli una mano sarà poi la promozione del nero verso il 1360-80; due secoli dopo s’impone infatti il blu scuro, che sfugge alla cromofobia dei riformatori protestanti. Nella pittura il problema del blu continua a sussistere; per fissarlo e usarlo su grandi superfici non bastano il costosissimo lapislazzulo, l’azzurrite, lo smalto e neppure i colori vegetali tratti dal guado e da bacche diverse. Tutto cambia nel 1709 quando a Berlino nasce un colore artificiale: il blu di Prussia. Nasce, come spesso capita, per caso: J. J. Diesbach e J. K. Dippel sono i due creatori. Il secondo, chimico e uomo d’affari, capisce come sfruttare l’unione di potassa e solfato di ferro, fino a che nel 1724 un chimico inglese ne rivelò il segreto. Ma è un poeta e scrittore a dare la spinta maggiore alla diffusione del blu: J. W. Goethe con il suo romanzo epistolare I dolori del giovane Werther. Il successo del libro porta alla moda dell’abito blu “alla Werther”: la tenuta dell’uomo innamorato. Goethe è anche l’uomo della Farbenlehre, la dottrina del colore, pubblicata nel 1810: il blu e il giallo contrapposti sono i poli del suo sistema cromatico che polemizza con i sette colori di Newton. Il blu diventa il colore romantico e malinconico per eccellenza, legato alla poesia e al sogno. Così la tinta dei degenerati e dei barbari comincia la sua inarrestabile conquista del mondo. 
A contribuire a questo è servito anche un capo d’abbigliamento, i jeans? Pastoureau sostiene di sì. Di certo tra le due guerre mondiali il nero si trasforma in blu scuro e nel 1853 un venditore ambulante ebreo di New York comincia da San Francisco la rivoluzione dei calzoni usando la tela da tende. Di sicuro il cambiamento è dovuto alla Riforma, quando il blu si trasforma in un colore dignitoso, morale, a differenza del rosso, che nella moda maschile è ancora un piccolo tabù, per quanto sia sempre il colore preferito dai bambini. 
Esistono davvero le preferenze individuali, oppure per i colori sono quelle sociali a prevalere? Probabile la seconda. Se in occidente è il blu a trionfare, in Giappone è il bianco, seguito dal nero e dal rosso; in quella cultura l’attenzione è posta più sul colore opaco e su quello brillante, scarsa in occidente. Oggi il blu in tutte le sue sfumature (ceruleo, elettrico, indaco, cobalto, blu notte, azzurro, zaffiro, ecc.) è il colore più utilizzato nell’abbigliamento, davanti al bianco, al nero e al beige. Però il suo significato è cambiato: ora indica calma, pace, distanza. È un colore “neutro”. Non ferisce, non disgusta, non offende più. Anche il suo legame con l’acqua è recente, così come la sua percezione come colore freddo è puramente convenzionale. Nel Medioevo e nel Rinascimento era un colore caldo, e solo a partire dal XIII secolo si è via via raffreddato; per Goethe è ancora caldo. Poiché i colori non sono mai pensabili da soli, ma nelle relazioni reciproche, per capire cosa è successo e succederà bisognerà parlare del suo opposto. Il rosso. Altra bella storia. 
(1. Continua)