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 2020  luglio 25 Sabato calendario

In morte di Maurizio Calvesi

Maurizio Calvesi, morto ieri a Roma a 92 anni, è stato uno dei più grandi storici dell’arte del nostro tempo, di formidabile preparazione e di vasta dottrina, educato alla scuola di Lionello Venturi e Giulio Carlo Argan. Un umanista nel senso più alto del termine. Forse più di ogni altro studioso della materia, Calvesi infatti è entrato sul serio nella mentalità e nel sistema culturale dell’Umanesimo e Rinascimento, dominando anche quelle discipline, oggi remote e desuete, che di fatto hanno posto le fondamenta di una intera civiltà, giustificandone il modo di pensare, il metodo della ricerca scientifica, l’attitudine peculiare di produrre arte.
Esperto di alchimia e astrologia, di studi iconologici e simbolici, Calvesi è stato insomma uno storico della cultura che incentra le sue indagini sull’arte figurativa mai scissa dalle effettive e riscontrabili dinamiche del tempo di appartenenza. È stato anche esperto studioso della contemporaneità, a partire dal Futurismo e dalla Metafisica cui ha dedicato studi per più versi definitivi, fino ai nostri giorni, agendo persino da critico militante ma sempre utilizzando gli strumenti della filologia.
Ebbe poi notevole vis polemica che lo ha reso paladino di vere e proprie battaglie intellettuali volte alla riscoperta di opere dimenticate ma cruciali e soprattutto alla ricerca del senso effettivo di tanti lavori artistici del passato e del presente fraintesi, se non addirittura equivocati, da una storiografia pigramente adagiata esclusivamente sull’analisi dei valori formali. Questo ha permesso a Calvesi di aiutare tutti noi a capire cose che erano davanti agli occhi ma che nessuno guardava, arrivando persino allo smascheramento di opere false, di false notizie, di antiche e recenti truffe contro le quali il grande studioso si è accanito fino all’ultimo giorno di vita.
Giovane competente e da subito appassionato al campo delle Belle Arti si era fatto le ossa nelle Soprintendenze, imparando ad amministrare il patrimonio artistico, a studiare sul territorio, a organizzare restauri, catalogazioni, mostre, pubblicazioni. Raggiunse presto la cattedra universitaria, godendo di una autorevolezza e una fama rimarchevoli. Non guardava in faccia a nessuno quando si trattava di mettere in discussione idee e comportamenti fino a quel momento ritenuti incontrovertibili, come se per tutta la vita avesse agito sulla basa del motto Amicus Plato sed magis amica veritas. Era l’epoca, tra fine anni Sessanta e inizio Settanta, della grande svolta degli studi caravaggeschi che dura ancora adesso e in larga parte è merito suo.
Aveva individuato nel Caravaggio la sua stella polare e il Caravaggio di cui oggi si discute e di cui si approfondiscono innumerevoli aspetti è ancora quello che Calvesi ha delineato e consegnato a testi memorabili, raccolti in Le realtà del Caravaggio, pubblicato da Einaudi nel 1990, uno dei più grandi classici della storia dell’arte del nostro tempo. Tutti oggi vediamo Caravaggio con gli occhi di Calvesi, ma quasi nessuno, tranne i veri specialisti, lo sa, tanto potente fu la tesi attraverso la quale Calvesi spiegò Caravaggio quale artista dotto e popolare al contempo, latore di un messaggio di universale portata inerente alle tematiche ultime della religione cristiana, dell’introspezione interiore, dell’eterno e inesauribile contrasto tra vendetta e misericordia, tra violenza e amore. Impressionava la capacità e la continuità di studio di cui Calvesi era capace.
La sua casa romana è qualche cosa di unico e sbalorditivo, uno scrigno misterioso e silenzioso gremito di ambienti molto diversi tra loro, opere d’arte antiche e moderne. Mario Ceroli aveva fatto per lui e per la sua cara moglie Augusta Monferini una biblioteca che non si sarebbe potuto desiderare più affascinante. Sembrava che Calvesi non facesse altro che studiare e per certi versi è stata proprio così la sua vita. Doveva capire. Capire proprio là dove una questione evidentemente posta da un grande maestro in una sua opera cruciale è apparsa per secoli o decenni incomprensibile. Ma si deve capire, eccome! È quella la bellezza che salverà il mondo, avrebbe potuto dire Calvesi, quella della comprensione.
Fosse la Melancolia I di D?rer, o il Grande Vetro di Duchamp, fossero gli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo, fosse la Tempesta di Giorgione o il libro Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna del 1499. Il più grande interlocutore di Calvesi è stato forse Duchamp.
Nel 1975 esce per Officina Edizioni il libro Duchamp invisibile. La costruzione del simbolo, poi riedito da Maretti nel 2016 completamente rinnovato anche nel titolo. Nella prima edizione Calvesi cita in apertura Le confessioni di Sant’Agostino: «poche sono le cose che diciamo con proprietà, la maggior parte le diciamo impropriamente: ma si comprende ciò che vogliamo dire».