Tuttolibri, 25 luglio 2020
Due milioni di sfumature negli occhi
Si potrebbe cominciare con i versi di John Keats (il poema Lamia) che rimproverano a Descartes e a Newton di sottrarre poesia e mistero all’arcobaleno o con Purple Haze di Jimi Hendrix, nebbia viola che invade il cervello e forse è sogno, amour fou per una ragazza, rito vodoo o trip a base di acidi.
Poi ci sono i vocaboli di Omero che cantano il colori del mare e... sorpresa: non sono mai univoci, spesso non coincidono con il classico blu. Quand’è agitato il mare omerico è «biancastro» (polios) e «blu-nero» (kuaneos); quando è calmo è «color del vino» (oinops) e «color della viola» (ioeides). Il greco antico rispetto ai colori ha confini molto fluidi, i vocaboli che usa non coincidono con i nostri; anche la definizione di «giallo» sfuma da una parte nel rosso e dall’altra nel blu, xanthos («giallo») significa biondo dei capelli ma anche rosso delle fiamme e del sole al tramonto; chloros è legato all’erba (chloe) ma oltre che al verde può riferirsi al giallo del miele. Cosa percepivano i greci? Forse più la luminosità delle cose che le categorie cromatiche.
Un libro come Il giallo del colore. Un’indagine filosofica della studiosa di estetica Alice Barale (Jaca Book) offre poche certezze e molti dubbi. Ma questo è il bello, al di là degli «ismi» e delle curve a gomito speculative dell’indagine filosofica. Il testo «accende» un dibattito di decenni se non di secoli, offre più domande che risposte, quello cromatico è un enigma inafferrabile e cangiante, ogni colore fugge nell’altro diceva Goethe, l’arcano s’infittisce appena si tenta di gettar luce.
Cos’è il colore? Luce, dice il fisico Carlo Rovelli: «È la frequenza (la velocità di oscillazione) delle onde elettromagnetiche che formano la luce. Se le onde vibrano un po’ più in fretta, la luce è più blu. Se vibrano un po’ più lente, la luce è più rossa. Il colore come lo vediamo noi è la nostra reazione psicofisica ai segnali nervosi che vengono dai recettori nei nostri occhi, che sono in grado di distinguere onde elettromagnetiche di frequenze diverse», (La realtà non è come ci appare, Cortina).
Ma i filosofi, si sa, «sono soliti mettere in dubbio molte cose» spiega la Barale, dunque ancora, cos’è il bianco? A chiudere gli occhi e provare a spiegarlo, annota Wittgenstein, escono solo esempi di cose bianche. O verdi, o il blu... Come spiegare «la rossezza del rosso»? Qual è «il colore sotto alle parole»? Se lo chiedono anche linguisti e antropologi, il rosso, colore dell’allerta e di frutti maturi, può respingere ed anche eroticamente attrarre, è il primo colore a essere identificato, è il colore preferito dai bambini molto piccoli.
Il colore è una proprietà fisica degli oggetti, appartiene a una realtà esterna a noi o come diceva Democrito (e poi gli «eliminativisti»), non è una proprietà degli oggetti reali e dunque è «Opinione il dolce, opinione l’amaro, opinione il caldo, opinione il freddo, opinione il colore: in realtà sono soltanto atomi e vuoto»?
Gli atomi non hanno qualità, se non la loro forma, né peso, colore o sapore; come scrisse Galileo sapori odori e colori non sono altro che puri nomi che risiedono nella coscienza; sapori e profumi sono aspetti qualitativi della nostra esperienza: forse contro la testimonianza dei nostri occhi l’erba non è verde e lo zucchero non è dolce, il limone non è agrumato...
Ciononostante percepiamo l’essenza del bianco di Moby Dick e dell’albatros nella poesia di Coleridge, vediamo con Monet i fantasmi iridescenti nelle cattedrali di Rouen e cogliamo allegorie nei colori, il giallo sereno e gaio di Goethe e «il bel giallo luminoso pieno di mistero» di Breton e dei surrealisti (Pastoreau), l’azzurro inquieto, tenero e nostalgico e la malinconia del Blues.
Grazie alla sinestesia, al circo dei sensi, avvertiamo il profumo dei pini di Cézanne, uniamo suoni, colori e movimenti con Wagner e Kandinskij, con le concezioni musical-pittoriche di Scriabin. Il naufragare in questo mare di nuances è dolce: gli esseri umani sarebbero in grado di percepire circa due milioni di tonalità, le sfumature di grigio, al confronto, assopiscono.
Ciò che esiste è il continuo trasformarsi e variare del colore, della luce, financo dei problemi visivi di chi guarda, uomini o animali: gli scimpanzé hanno categorie cromatiche molto simili a quelle umane mentre i piccioni sembrano percepire come diverse le coppie di colori che noi percepiamo uguali. Il colore, in definitiva, è inafferrabile come certe particelle della fisica, che esistono solo nel momento in cui le osservi. È pura energia - meglio pensare al mondo come elettricisti, più che come meccanici - è reale e indipendente da noi ma anche indeterminato, in attesa di prendere posto nel nostro linguaggio e nella nostra mente.
Come avviene per la memoria involontaria di Proust, che fissa, lo ricordano Elonora Marangoni in Proust: i colori del tempo (Mondadori Electa) e Mariolina Bertini, l’universo di emozioni e «la debordante ricchezza cromatica del presente». Come lo scorrere del tempo interiore di Bergson, che varia a seconda del nostro stato mentale: perché il tempo, dice una bella canzone di De André, in verità «non ha premura».