Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  luglio 25 Sabato calendario

Nel laboratorio dell’imbalsamatore Agostino Navone

«Una volta lo vedo arrivare armato di bicicletta su dai campi. Era venuto col treno fino a Pessione. "Mi chiamo Maurizio Cattelan", mi ha detto. E chi lo conosceva. Voleva fare il cavallo di Rivoli, ma non sapeva bene quel che mi chiedeva, e questo ti spiazza: gli ho detto di no». Si è pentito? «Io? Giammai. Voleva un animale con le gambe lunghe il doppio di quello che sono, "devono sembrare più vicine al pubblico", mi ha spiegato, ma non mi ha convinto. Da lì in poi, è iniziata la nostra collaborazione. E l’opera Novecento, non è per vantarmi, ma dal punto di vista tassidermico non è fatta proprio a regola d’arte. Ogni anno, ha bisogno di una costosa manutenzione per essere conservata».
L’imbalsamatore Agostino Navone ha la faccia da attore, sembra un personaggio felliniano. Mani piccole e cartilagini rifatte dal chirurgo, perché se le è consumate tutte in cinquant’anni di lavoro, a scuoiare e modellare animali. Ti guarda con gli occhi segnati dal tempo, lui che la morte la cancella. È il Geppetto-creatore in una fattoria degli animali fantastici. Ti scruta e credi ti stia immaginando bestia, ma giura di non pensare mai «verrà il tuo giorno!, come fanno certi delle pompe funebri». Sorride, fuma, è un fiume di aneddoti di personaggi famosi e artisti, musei e aziende che si sono rivolte a lui per ottenere un animale «naturalizzato», così li chiama, perché «l’imbalsamazione in verità prevede la conservazione degli organi interni, come facevano gli egizi, ma noi li buttiamo via tutti e scolpiamo la sagoma in poliuretano o vetroresina». Navone è il re discreto del suo laboratorio di Riva di Chieri (nell’assolata provincia torinese), protetto da un muro di cemento in stile Fort Knox. Altro che antro oscuro e macabro, come nel film L’imbalsamatore di Matteo Garrone. Il trono di questo demiurgo del regno animale, tra teste di ippopotamo che spuntano dai muri e pulcini dell’Antartide, è una sedia sgangherata in uno stanzone che non puzza di nulla, lì con lui sembra di stare in un cartone animato, in una foresta magica piena di umanità.
«Se mi sento Dio? Non punto così in alto - dice -. Sono solo uno che è riuscito a ridare una vita parziale a qualcosa che non l’ha più. Una vita fittizia e verosimile. Non riuscirò mai a far sbattere le ali a un canarino deceduto, ma posso riprodurlo come quando stava sul ramo. Così il leone che attacca la zebra. In Dio io ci credo, ma non nella vita dopo la morte. E ora, a 68 anni, francamente non ho tempo di pensarci, alla morte. Chissà se c’è il caffè nell’Aldilà, vorrei saperlo, sono cose importanti...». Agostino Navone è stato l’imbalsamatore più innovativo d’Italia. Il primo che ha assunto dipendenti e ha trasformato una professione da garage, «che occupa tutti i miei giorni dall’età di 15 anni quando volevo salvare un germano reale femmina a cui mi ero molto affezionato», in un mestiere artistico e vitale. «Non credo di toccare la morte: quando lei c’è, non ci siamo noi - spiega, da buon epicureo -. Ho fatto solo un passo più in là degli altri, per fermare ciò che è cadùco». Vanitas vanitatum. Come quel rinoceronte di 26 quintali che gli è piombato qualche tempo fa nel cortile, e c’è voluta una gru per scaricarlo: l’ha preparato per il museo di storia naturale di Pavia. «La maggior parte dei miei animali sono qui dopo una morte naturale, o un abbattimento programmato - racconta -. Per questo, invito da sempre molti bambini in laboratorio, perché si possano rendere conto del ciclo della vita, della meraviglia della natura».
Più di una commessa dei clienti, però, l’ha messo alla prova con bestie decedute in cattività. È il caso di quella tigre preparata per un calendario griffato, dove campeggiava l’immagine luminosa di una statuaria Elisabetta Canalis, seduta sul dorso del mammifero.
Il magazzino di Navone, e del 36enne suo discepolo Alessandro Trucco, trabocca di Cattelan buttati a terra: «Quelli sono i negativi dei cavalli con la testa conficcata nel muro esposti a Basilea nel 2013 nell’opera Kaputt», mostra, facendoci salire da una vecchia scala di legno piena di ragnatele, su per un pagliaio adibito a magazzino delle forme. Sul tavolo di lavoro, invece, ci sono due dei 2000 piccioni che «infestarono» i padiglioni della Biennale di Venezia nel 2011. Alessandro li pettina, e l’effetto è estraniante: gli animali morti imbalsamati e trasformati in arte nel laboratorio che fissa il tempo, mentre alla radio passa fugace un pezzo musicale di Francesco Gabbani. Lo studio Navone sta di nuovo lavorando sui piccioni: deve riprodurne 50, per una nuova installazione dell’artista padovano, di cui non si può dir nulla. Ci inebria di gioia, però, pensare che il genio del contemporaneo da milioni di dollari ad opera, non abbia ancora smesso di creare con gli animali naturalizzati. Certo, che cosa sarebbe Cattelan senza Navone, forse qualcosa di diverso, chissà. Quella dell’imbalsamatore è arte nell’arte, ma l’artigiano di Chieri non è tipo da fare polemiche: «Una volta mi telefona Maurizio, chiedendomi un asino seduto, un po’ attapirato perché sapeva di essere asino, col culone grosso, che andava preso con ironia. Ho messo giù la cornetta e ho cominciato a studiare: gli ho fatto un’espressione così, con un ghigno, come quella che si vede nell’opera che Cattelan ha portato a Trento, quando è stato insignito della laurea honoris causa ». L’asino diventa dottore, è il titolo, e l’artista Cattelan diventa allievo dell’artigiano. «Non sono geloso per natura, mica mi arrabbio se lo stesso animale col carretto è stato venduto a un emiro per 2 milioni e mezzo e io mi sono fatto pagare qualche migliaio di euro», scherza Navone. Che dal 1997, dopo aver realizzato molte altre bestie tassidermizzate per lui (dal jack russell allo scoiattolo) e aver lavorato per stilisti come Carol Christian Poell e per la pubblicità (da Vodafone a Coalvi) non ha ancora smesso di dire no: «A chi mi chiede di riprodurgli cani e gatti morti dico no. Non è tanto l’esecuzione a imbarazzarmi, ma l’entourage di tristezza di questi padroni che neanche il Padre Eterno potrebbe mai accontentare», perché un animale domestico «cambia centomila espressioni al minuto, non me la sento di imprigionarlo in una». L’imbalsamatore ha ricevuto anche richieste per conservare esseri umani: «Non mi appassiona proprio, per ricordare un affetto caro sono meglio le foto». Al limite, animali esclusi, farebbe un’eccezione per il coronavirus: «Lui sì che lo riprodurrei volentieri, dannato! Sfilarlo al tempo che viviamo e poi dimenticarlo per sempre».