La Stampa, 25 luglio 2020
Da Marshall a Merkel
I fondi stanziati dall’Ue per far fronte alla crisi economica provocata dal coronavirus fanno venire in mente quelli stanziati dagli Stati Uniti nel 1947 dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Persino i nomi dei piani sono simili: European Recovery Fund nel primo caso, e European Recovery Program nel secondo, anche se quest’ultimo divenne più noto come piano Marshall, dal nome del propositore.
Il piano Marshall era però un aiuto offerto da una potenza straniera alle nazioni europee, a fini dichiaratamente neocoloniali: il suo fine era indirizzare il sistema politico, economico e sociale europeo nella direzione del mercato, dell’impresa e dell’industria imposto dal capitalismo americano nella propria zona di influenza, a seguito della spartizione del mondo effettuata a Yalta nel febbraio 1945 dai futuri vincitori. L’odierno piano di aiuti europei è invece un aiuto interno, che ridistribuisce fra le nazioni più in difficoltà i fondi europei, alla costituzione dei quali quelle stesse nazioni hanno contribuito, all’insegna del motto marxista: "Da ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo i propri bisogni". I fini e i mezzi sono però gli stessi del piano Marshall: cioè, risanare il sistema capitalistico, già in gravi difficoltà anche prima del virus, con interventi di spesa che vadano non nella direzione della domanda, ma dell’offerta. Con il piano Marshall le richieste statunitensi furono disattese e successe esattamente il contrario, anche perché i consumi del dopoguerra erano di prima necessità. Ma si può immaginare che lo stesso succederà anche ora, nonostante i nostri consumi siano ormai da tempo inutili o dannosi: non a caso Di Maio, già settimane fa, ha proposto di usare i fondi in arrivo per abbassare le tasse. D’altronde, tutti i governi hanno sempre usato la spesa pubblica per effettuare regalie a fini elettorali: le scarpe spaiate di Lauro, l’Italia da bere di Craxi, gli 80 euro di Renzi, la quota 100 di Salvini, il reddito di cittadinanza di Di Maio. La lotta per la spartizione delle spoglie è già cominciata, e prevede anzitutto di tener lontane le opposizioni dal tavolo dei benefici, per congelarle elettoralmente e consolidare la maggioranza. Nel 1947 uno dei prezzi da pagare per accedere ai fondi del piano Marshall fu l’estromissione dei comunisti dal governo: il primo governo non di unità nazionale fu inaugurato il 31 maggio, e l’annuncio del piano avvenne il 5 giugno. Oggi i sovranisti sono sgraditi all’Ue tanto quanto lo erano i comunisti agli Stati Uniti, e le misure del Recovery Fund richiedono un loro isolamento politico: paradossalmente, oggi Salvini si sente come i comunisti di una volta, e infatti ha cominciato a paragonarsi a Berlinguer. La differenza con il 1947 è però sostanziale. De Gasperi era il leader indiscusso di un partito maggioritario altrettanto indiscusso: nel 1948 la Dc prese, per l’unica volta nella storia repubblicana, la maggioranza assoluta dei seggi, con una legge elettorale proporzionale, e in tempi in cui votava il 90% degli elettori. E si era appena usciti da un periodo costituente che aveva disegnato la forma dello Stato, con un’Assemblea eletta nello stesso modo. Oggi, in un’era maggioritaria e di assenteismo elettorale, Conte è un leader non eletto. Il meno che si potrebbe pretendere in questa situazione è che i fondi europei venissero gestiti da un governo di unità nazionale guidato da tecnici, ma se l’Italia avesse questa cultura politica, non sarebbe nella situazione in cui si trova.