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 2020  luglio 24 Venerdì calendario

Perché grasso è bello

Sarai Walker e io siamo entrambe grasse. Non “curvy” o altri eufemismi. Solo grasse. Siamo anche entrambe scrittrici, e dopo un percorso di accettazione e rivendicazione dei nostri corpi, abbiamo sentito il bisogno di portare sulla carta le nostre esperienze. L’abbiamo fatto in due romanzi: Dietland (Mondadori), il suo, incrocio fra Fight Club e Margaret Atwood, protagonista la 29enne Alicia detta Plum, da cui l’omonima serie Amazon; Non superare le dosi consigliate (Guanda), il mio, che racconta la vita di Matilde attraverso il filtro dei disturbi alimentari e del fat shaming, cioè la discriminazione verso le persone grasse. Qui diciamo la nostra su un po’ di cose.


Costanza Rizzacasa d’Orsogna: «Pochissimi romanzi hanno una protagonista grassa. La mia Matilde se ne lamenta: “Nella letteratura”, dice, “la donna grassa è quasi assente, come non esistesse in natura. Forse la grassezza è un soggetto troppo sconveniente?”. Quei pochi romanzi con una protagonista grassa, poi, hanno tutti lo stesso arco narrativo: l’inganno del “prima” e “dopo”. Una ragazza che si odia, poi dimagrisce e trova la felicità. Dietland “adesca” il lettore con un avvio convenzionale, poi esplode in un fantasy di rappresaglia femminista. Alicia incontra Jennifer, movimento di guerriglia determinato a ribaltare lo sguardo maschile e i canoni di bellezza, e l’odio che ha di sé diventa accettazione. Com’è nato il romanzo?».


Sarai Walker: «Avevo scritto un racconto su una ragazza grassa che lavora in una rivista di moda per giovani donne e viene discriminata. Era ispirato a un’esperienza personale, non avevo mai scritto nulla di simile. A quel tempo mi vergognavo ancora tanto. Sono stata grassa per tutta la vita, ma pensavo a me stessa come “temporaneamente grassa”, che un giorno sarei dimagrita. Nello Utah, dove sono cresciuta, se sei grassa sei un paria. Così ho fatto un sacco di diete, e sono ingrassata ancora di più. Alicia passa le serate agli incontri di Weight Watchers e risparmia per l’intervento chirurgico che la renderà finalmente magra. Tutto cambia, però, quando incontra i corpi non conformi del collettivo Calliope House e le terroriste di Jennifer. Ho capito che poteva essere l’inizio di un romanzo, ma mi mancava il coraggio di andare avanti. La mia visione era radicale, scriverla richiedeva una disinibizione che allora non avevo. Temevo anche che chiunque, leggendomi, avrebbe presunto che Alicia fossi io, e non ero pronta per il peso dell’esposizione personale. Soprattutto, però, volevo capire perché le donne grasse sono così odiate, e in quel momento non lo capivo neanche io. Puoi essere vittima di razzismo e non rendertene conto, perché è troppo doloroso. Così ho abbandonato il libro, e mi sono sentita sollevata».


CRdO: «E poi?».


SW: «Anni dopo sono venuta in Europa per un dottorato. E a Londra, dove i corpi delle donne sono in mostra come in nessun altro posto al mondo, quasi siano pubblica proprietà, venivo dileggiata per strada, anche con ferocia. Non avevo mai vissuto qualcosa del genere, e sono caduta in depressione. Negli Stati Uniti la grassofobia si manifesta in modi più sottili, per esempio escludendoti. È stato allora che ho partecipato a una conferenza sulla body positivity . Non ero mai stata esposta a certe idee, è stato determinante. Ho ripreso in mano Dietland e ho capito che dopo quanto avevo passato non mi spaventava più. È nata una nuova scrittrice. E ho trasferito nel romanzo quella cultura misogina: Jennifer obbliga i tabloid inglesi a mettere maschi nudi in copertina. Cosa ha spinto te, invece, a scrivere il tuo romanzo?».


CRdO: «Sono stata bulimica per tutta la mia vita. Dopo i quarant’anni, in seguito a una brutta storia, sono caduta in un altro disturbo, quello delle abbuffate incontrollate. Così sono diventata obesa, e con l’obesità è arrivato il fat shaming. Tu raccontavi di Londra, ma succede anche in Italia: ogni giorno, per strada perfetti sconosciuti mi dicevano le cose più terribili, mi guardavano con ribrezzo. Per non sentirli, per non sentire quello sguardo su di me, mi sono chiusa in casa per tre anni, ma in casa tutto peggiora. Intanto leggevo, studiavo. E ho capito che volevo dire delle cose anch’io. Volevo gridare il mio dolore, ma avevo paura. Poi un giorno mi sono messa al pc. E appena l’ho fatto, appena ho aperto quella porta, è venuto tutto fuori. E ho deciso che dovevo scriverlo così, in modo molto crudo e molto autentico. Parliamo di obesità, di dipendenza da cibo e lassativi? Facciamo vedere di che stiamo parlando. Parliamo delle menzogne che raccontiamo a noi stesse e agli altri per sopravvivere in questo mondo dove non sembra esserci posto per noi. Era un romanzo, ma contemporaneamente ho deciso di mettermi in gioco. Con un manifesto, Storia della mia grassezza, diventato virale, da cui è nata la mia rubrica di 7, anyBody- Ogni corpo vale . Così sono diventata un’attivista, e il ruolo mi ha resa più forte. Ma ho scritto un romanzo perché non volevo che un’esperienza universale venisse ridotta al mio vissuto, e quindi sottovalutata. Quando Dietland è uscito negli Usa, nel 2015, il New York Magazine l’ha definito “sorprendente”. È così che stato accolto da tutti?».


SW: «Qualcuno ha scritto che ero molto arrabbiata. Poi è arrivato il #MeToo e improvvisamente quella rabbia era attualissima. Una reazione che mi ha molto frustrata, invece, è quanto alla gente piacesse, in modo quasi pruriginoso, il dolore delle persone obese. Vogliono il pianto, gli episodi imbarazzanti. Come se avessi pubblicato il mio diario e non un romanzo, mi chiedono delle mie fragilità, dei miei ricordi più tristi. Di servire me stessa su un vassoio per essere scrutinata. A volte vorrei fermarli e urlare. Ma nessuno capirebbe».


CRdO: «”La rabbia delle donne è un’emozione proibita”, osserva Matilde. E il caso umano fa ascolti. Qualche tempo fa, in tv, mi sono ritrovata tra un medico e una psicologa: io ero la “paziente”. Ma ho deciso di approfittarmene. Vogliono gli aneddoti scabrosi? Io glieli racconto, denuncio tutto. Non sono io a dovermi vergognare se ogni giorno speravo che piovesse per uscire di casa con l’ombrello affinché non mi vedessero (e poi ci uscivo lo stesso, anche col sole). La colpa è di chi ci bullizza, come anche certa medicina, che oltre certi parametri ci classifica ancora come mostri. Per troppo tempo mi sono chiusa in casa perché la mia vista li offendeva. Adesso ho smesso di nascondermi, di piangere. Io merito rispetto».


SW: «Sei molto coraggiosa. Al tempo stesso credo sia fondamentale trovare nuove narrazioni, ampliare il modo in cui parliamo delle persone grasse. Non c’è solo dolore. Dietland esplora la grassofobia attraverso una lente femminista, ma non sempre il femminismo ha avuto le risposte giuste. Non sempre il grasso, per esempio, è conseguenza di un trauma: a volte è solo grasso. Puoi essere grassa e felice. In forma a qualunque peso».


CRdO: «Come Lizzo (ndr. la 32 enne cantante icona della black music americana), che si allena tutti i giorni ed è più in forma di tante persone magre. E però l’idea che il grasso possa non essere negativo va contro tutto ciò che la società occidentale ci ha inculcato. Più pesi, meno vali: i media ce lo ripetono ogni giorno. Alle persone grasse sono associati i vizi peggiori: la pigrizia, la sporcizia. E qualsiasi discorso sull’accettazione viene sistematicamente deragliato. “La vergogna fa dimagrire”, dicono. Poco importa che tutti gli studi dimostrino il contrario».


SW: «È una sorta d’infermità mentale. Appena metti in discussione la retorica del grasso cattivo, perfino i liberal impazziscono. Io rivendico la parola “grassa” per spogliarla di tossicità. Molto si è scritto sull’interiorizzazione dello sguardo maschile, cui le donne vengono istruite fin da bimbe. Dietland è un percorso per smettere di vedersi come un oggetto sessuale. Alicia ha interiorizzato l’odio verso il grasso. Col tempo, però, inizia a pensare al proprio corpo in modo diverso. Forse non c’è niente di sbagliato in sé, si dice. Forse è come la trattano gli altri che è sbagliato. Si rende conto che il suo corpo, la discriminazione che subisce, sono una questione politica. E reagisce».