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 2020  luglio 24 Venerdì calendario

LBcoin, la prima moneta digitale di Stato

La prima valuta digitale di Stato ha visto la luce. Si chiama LBcoin, è imperniata sulla stessa tecnologia blockchain alla base delle criptovalute e a emetterla ieri è stata la Banca centrale della Lituania, Paese che ha fatto dell’avanzamento tecnologico una bandiera, nonché un fattore di attrattività per il fintech di cui è ormai secondo hub in Europa.
Si tratta, va subito chiarito, di una sperimentazione, di una moneta da collezione e non di una valuta veramente commerciabile, come chiarisce Marius Jurgilas, membro del board della Banca centrale: «Questo non è un euro digitale – sottolinea – che ci sarà se e quando l’Eurosistema, che ne sta attivamente discutendo, sarà pronto e avrà tutte le risposte necessarie. Per noi della Banca centrale, in quanto supervisori, l’obiettivo di LBcoin è capire quali opportunità e rischi la tecnologia possa comportare per il settore finanziario. Circa due anni fa, quando avviammo questo progetto, il mondo delle banche centrali iniziava a misurarsi con l’emergente tecnologia blockchain e con il suo utilizzo nel mondo delle criptovalute; perciò decidemmo che avevamo bisogno di ampliare le nostre riflessioni oltre concetti filosofici come il ruolo delle banche centrali per cercare di capire veramente il nuovo fenomeno. E LBcoin è proprio questo: l’implementazione di questa tecnologia in un ambiente controllato».
Ma come funzionerà concretamente l’esperimento lituano? La Banca centrale aveva già messo in prevendita dal 9 luglio 24mila LBcoin, token digitali equiparabili – per i non addetti ai lavori – a gettoni che racchiudono un insieme di informazioni digitali e che conferiscono a chi ne è in possesso un diritto di proprietà sull’insieme stesso di informazioni, registrate su una blockchain (ossia una catena di dati temporali condivisi e validati da un gruppo di computer). Ogni token – di qui il valore commemorativo – riporta il ritratto di uno dei venti firmatari della dichiarazione di indipendenza lituana del 1918; vengono venduti a 99 euro in pacchetti da sei e potranno essere scambiati tra i possessori per arrivare a una combinazione che consentirà di ricevere, dalla Banca di Lituania, una vera moneta d’argento – la forma è in realtà quella di una carta di credito – del valore di 19,18 euro.
A spiegare analogie e differenze con le criptovalute più famose è ancora Jurgilas. «LBcoin usa una tecnologia simile, ma è qualcosa di diverso, perché la Banca di Lituania non si espone a una rete umpermissioned come Bitcoin o Ether (dove cioè la validazione delle transazioni è affidata al consenso del network stesso, ndr), ma gestisce la propria rete. Noi, inoltre, abbiamo uno scopo: introdurre il cittadino medio alla nozione di token digitale, evitando i rischi a cui il mondo delle criptovalute può esporre il consumatore». Obiettivo a cui va aggiunto quello di dare anche alle banche centrali la capacità di competere, in un futuro forse non così lontano, con l’offerta di privati, come per esempio Libra, la criptovaluta di Facebook.
Dietro la scelta di Vilnius c’è poi un’altra motivazione: migliorare il know-how tecnologico nel settore finanziario, accrescendo ulteriormente un’appeal che, negli ultimi anni, ha portato la piccola Lituania a diventare un vero e proprio hub del fintech, addirittura seconda in Europa alle spalle del Regno Unito, con 210 aziende che offrono servizi finanziari digitali – dai pagamenti online al credito al consumo – che hanno qui la sede o il quartier generale dell’Eurozona.
Tra quanti operano nella repubblica baltica c’è la britannica Revolut, vera e propria star del fintech, che ha tra l’altro allargato il suo business anche alle criptovalute. Revolut ha nel Paese baltico due società munite di licenza: Revolut Payment, istituto di moneta elettronica autorizzata che offre in Lituania gli stessi servizi di pagamento elettronici della casa madre, e la banca specializzata Revolut Bank. «È un Paese con un’infrastruttura ben bilanciata e una regolamentazione che sostiene le aziende ad elevato potenziale di crescita», spiega Virgilijus Mirkes, ceo di Revolut Bank. «Cinque anni fa la Banca di Lituania, i ministeri e le istituzioni competenti hanno unito le forze per creare, dal punto di vista regolatorio e dell’operatività, un ambiente che attraesse nella regione le aziende del fintech: un approccio che ne ha fatto il secondo hub d’Europa». A volte infatti, come conferma ancora Jurgilas, «quanti si affacciano nel mercato del fintech non sanno con precisione cosa si può fare e cosa no e questa incertezza li frena. Noi cerchiamo di agevolarli».
La serietà del quadro normativo è stata fattore decisionale anche per la svizzera Sonect che, tramite una app, fornisce ai suoi clienti una sorta di bancomat virtuale per i pagamenti in negozi e ristoranti. La società però ha scelto la Lituania come quartier generale Ue anche perché la Banca centrale ha un rapporto diretto con le aziende ed è facilmente «contattabile», come spiega Alexandre Pinot che, oltre a essere il capo dell’ufficio europeo a Vilnius, è responsabile dell’antiriciclaggio di Sonect. Un ruolo che gli permette di sgombrare il campo dai timori legittimi sui rischi che l’area baltica potrebbe comportare per chi opera nel fintech, dopo i recenti scandali bancari in Lettonia e Estonia: «Vivo in questa regione da più di dieci anni – assicura – e credetemi: la Lituania non vuole diventare la prossima Lettonia. I legami con l’ex Urss, del resto, non sono gli stessi di Estonia e Lettonia. Qui, casomai, il rischio può essere la concentrazione del settore bancario, dominato da pochi grandi player». Ossia tre banche che si spartiscono l’80-90% della quota di mercato.
La Banca di Lituania ne è consapevole e per questo, come conclude Jurgilas «cerca di rendere il mercato più aperto alla concorrenza». E anche l’avanzamento tecnologico, di cui LBcoin è l’ultimo esempio, è un modo per introdurre nuovi player.