Il Sole 24 Ore, 24 luglio 2020
Petrolio, la Russia cerca una polizza contro i ribassi
Dopo lo shock da coronavirus, che ha spinto il petrolio addirittura sotto zero, la Russia torna ad accarezzare l’idea dell’hedging: operazioni finanziarie che funzionano come una sorta di polizza in caso di crollo del mercato, tutelando gli introiti dello Stato. Il Cremlino ha confermato che il presidente Vladimir Putin ha ordinato ai ministeri competenti e ad altri enti governativi di predisporre uno studio di fattibilità da sottoporre alla sua attenzione entro fine luglio.
Secondo indiscrezioni raccolte da Interfax, il progetto è stato sollecitato da Rosneft e prevede di coinvolgere il fondo sovrano nell’acquisto di opzioni put, che danno diritto a vendere petrolio a un prezzo predeterminato entro una termine definito, a prescindere dal suo valore di mercato in quel momento.
Se il piano di Mosca si concretizzasse potrebbe avere un forte impatto, verosimilmente superiore a quelle del programma messicano, noto come «Hacienda Hedge», che ogni anno i mercati aspettano con trepidazione per i potenziali scossoni che è in grado di provocare. Le strategie di hedging, effettuate attraverso derivati finanziari, possono essere più o meno complesse, ma di fatto comportano sempre l’esigenza di vendere volumi di greggio a futuri. E poiché la Russia è uno dei maggiori produttori al mondo, in grado di estrarre più di 11 milioni di barili al giorno, è difficile che riesca a muoversi con passo leggero.
L’hedging è pratica abbastanza diffusa tra le società dello shale oil negli Usa, che non hanno le spalle abbastanza larghe per sopportare la ciclicità del mercato attraverso la diversificazione e gli ampi capitali accessibili alle grandi compagnie petrolifere. Ma l’unico vero “paracadute” di Stato oggi è quello del Messico, che ogni anno spende circa 1 miliardo di dollari per proteggere il valore di 250-300 mbg di esportazioni. Le operazioni – condotte attraverso grandi banche internazionali e coperte da segreto di Stato – si sono dimostrate efficaci nel proteggere gli introiti in tutte le grandi crisi degli ultimi anni, compresa quella attuale: il Messico, ha detto il presidente Andrés Manuel López Obrador, quest’anno avrà entrate garantite per 6,2 miliardi di dollari, corrispondenti a un prezzo di vendita del greggio di 49 $/barile. La “polizza” nel 2009 aveva fruttato 5,1 miliardi, nel 2015 6,4 miliardi e nel 2016 altri 2,7 miliardi.
È grazie a questa copertura che il Paese sudamericano si è potuto permettere di puntare i piedi al vertice Opec Plus di aprile, minacciando di mandare all’aria l’accordo sui tagli di produzione.
L’idea di emulare il Messico ha tentato molti altri produttori di petrolio negli ultimi anni, tra cui l’Iraq, gli Emirati arabi uniti, il Kazakhstan e la Russia stessa. Ma nessuno è andato fino in fondo, forse per paura di finire male come l’Ecuador, che nel 1993 concluse l’esperimento con perdite salatissime.
Mosca in particolare ha già studiato l’ipotesi dell’hedging almeno due volte, una nel 2009 – quando intrattenne colloqui con Goldman Sachs e Morgan Stanley – e un’altra nel 2016. Ma entrambe le volte ha accantonato il piano, forse perché troppo complesso e costoso, o forse semplicemente perché ridondante.La Russia in fondo ha già un paracadute, costituito dal fondo sovrano. C’è anzi un meccanismo automatico che prevede di alimentarlo con acquisti di valuta pregiata da parte del ministero delle Finanze ogni volta che il prezzo del barile supera 40 dollari.