Il Sole 24 Ore, 24 luglio 2020
I tesoretti nascosti nelle banche a sconto
C’è un tesoretto nascosto nelle pieghe dei bilanci che fa delle banche interessanti target di acquisizioni, anche se il mercato le sottovaluta. Anzi più sono a sconto e meglio è, non solo perchè costano meno ma anche perché c’è più “badwill” da utilizzare. Il badwill è il contrario del goodwill e per tutte le banche quotate in Piazza Affari in questo periodo è un importante valore negativo, dal momento che – in tutti i casi – la capitalizzazione di Borsa è di molto inferiore al patrimonio netto tangibile (il patrimonio netto meno gli asset immateriali, quali per esempio il valore dei marchi o gli avviamenti). Il mercato, in sostanza, dice che non è disposto a riconoscere appieno il valore del patrimonio contabile, vuoi perché la redditività del settore in questa fase congiunturale è bassa, vuoi perchè giudica gli asset un po’ inflazionati. Ma per la Bce invece – lo ha chiarito nelle sue recenti linee guida – il patrimonio netto contabile ha un valore e nel caso di aggregazioni che facciano emergere un badwill, un avviamento negativo – una certezza più che un’eventualità di questi tempi – questo può essere utilizzato per gettare le basi per una ripresa di redditività futura.
In generale l’approccio della vigilanza guidata da Andrea Enria è quello di favorire l’utilizzo del patrimonio che il mercato non riconosce per migliorare la sostenibilità del modello di business dell’unità combinata, per esempio – suggeriscono le linee guida della banca centrale – per aumentare la copertura sui crediti dubbi, per spesare i costi di integrazione o per altri investimenti. Il badwill, in sostanza, deve essere utilizzato per mettere fieno in cascina in attesa di tempi migliori e non invece essere distribuito agli azionisti del gruppo bancario risultante dalla fusione, almeno fino a quando il business model non sarà stato stabilmente validato. Tutto ciò in linea di principio, salvo avviso contrario per singole situazioni.
Il chiarimento si è reso necessario alla luce della possibile nuova ondata di aggregazioni che potrebbe seguire, comunque vada, l’Opas di Intesa su Ubi. Quando fu realizzata l’operazione Bpm-Banco Popolare il mercato rimase col fiato sospeso per parecchi mesi perché se l’aggregazione non avesse ottenuto il via libera di cui sopra il conto sarebbe stato presentato agli azionisti in termini di rischio di aumento di capitale. Al contrario dell’acquisizione di Interbanca da parte di Ifis – che risale a quattro anni fa – quando l’enorme badwill della banca-preda si rivelò un ottimo affare per il compratore. Interbanca aveva un patrimonio netto di 1,1 miliardi, ma fu pagata solo circa cento milioni: del miliardo di badwill 400 milioni furono utilizzati per coprire abbondantemente i crediti dubbi e 600 milioni per incrementare il patrimonio di Banca Ifis.
Escluse le due banche maggiori, Intesa e UniCredit, sotto questo profilo Banco Bpm – che tratta in Borsa solo al 20% del suo patrimonio netto – presenta, alle quotazioni attuali, il badwill più elevato: ben 8,68 miliardi che in caso di eventuale fusione potrebbero essere utilizzati dall’incorporante per rafforzare il profilo del gruppo, persino per spesare ristrutturazioni. È forse stato questo uno dei motivi che ha giustificato in settimana la fiammata del titolo, sostenuta dalle suggestioni di ipotetiche aggregazioni con UniCredit, che però per il momento si chiama fuori (c’è chi ipotizza anche combinazioni a tre, includendo anche Mps, ma per ora sono speculazioni).
L’operazione, avvertono gli analisti, incidendo sui parametri di vigilanza, ha un costo in termini di Cet1, ma se il bilancio dell’incorporante è ampio si tratterebbe di un sacrificio relativo e temporaneo a fronte di un futuro recupero di redditività, per esempio perché si perderebbe meno sui crediti inesigibili sui quali fosse stata aumentata la copertura.
Fatto sta che il tesoretto di Ubi, ridimensionato a 4,16 miliardi dal premio dell’Opas rispetto alle quotazioni di partenza, è entrato nel capitolato dell’operazione. Nel supplemento al prospetto informativo sono contenute le ipotesi di badwill che verrebbe riconosciuto all’acquirente delle filiali (Bper) che l’Antitrust ha chiesto di dismettere per autorizzare l’operazione se l’offerta andrà in porto.