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 2020  luglio 24 Venerdì calendario

Bud Spencer ricordato dalla figlia

«Questo libro è nato come una sorta di diario, per il desiderio di mettere per iscritto i nostri momenti passati insieme. Da figlia avevo bisogno di ricordare». Parla Cristiana Pedersoli, secondogenita di Carlo, in arte Bud Spencer. Il suo Bud. Un gigante per papà, edito da Giunti, è uscito da poco ed è già alla prima ristampa. Il volume è una cavalcata, affettuosa e leggerissima, in una vita fatta di molte imprese: il cinema, i campionati di nuoto, il periodo in Venezuela a costruire la strada Panamericana, i brevetti per pilotare aerei ed elicotteri, i rapporti con la famiglia, le ricette preferite di un uomo "extralarge". «Era ingombrante in tutti i sensi, e aveva una presenza magnetica: appena entrava in una stanza si percepiva una grandissima energia.
È stato un portatore sano di bei principi, nella vita e nel cinema, aveva passione e curiosità, e ci ha insegnato il valore della lealtà e della libertà».
La cosa più singolare di Bud. Un gigante per papà è che non si tratta tecnicamente di una prima edizione assoluta. «Il libro è uscito l’anno scorso in Germania e Ungheria», dice Cristiana Pedersoli, «per iniziativa di un editore tedesco che aveva chiesto di leggere i miei appunti. Lì mio padre è ancora più famoso. A Lommatzsch, in Sassonia, fanno ogni anno lo Spencer Hill Festival, un enorme luna park per diecimila persone mascherate a tema su uno dei loro film. La scorsa estate ci sono stata con Jess, il figlio di Terence Hill, e mi sono divertita come una pazza».
Come mai secondo lei questo successo maggiore all’estero?
«Perché forse i film di Bud Spencer e Terence Hill sono sempre stati un po’ snobbati dalla nostra critica, mentre erano invece amatissimi dalla gente, sia italiana sia estera».
Eppure Bud Spencer è stato anche diretto da Monicelli, Argento, Lizzani, Montaldo, Olmi: crede che suo padre sia stato sottovalutato?
«Una forma di snobberia. Però nel 2010, quando diedero a lui e a Terence Hill il David alla carriera, Ermanno Olmi fece leggere un suo messaggio che li riscatta totalmente, in cui li chiama "magnifici attori e amabilissimi galantuomini, indimenticabili eroi di tante fantastiche avventure, di giocosa ironia e sano divertimento". Papà comunque non aveva sentimenti di rabbia o invidia, si stupiva magari che in Germania o Ungheria lo apprezzassero più che in Italia ma non più di tanto. Il maggior insegnamento della sua vita, quello che gli ha dato i valori più importanti, è stato lo sport. Arriva qualcuno che ti può battere da un momento all’altro e allora non sei più nessuno, diceva».
Si rivedeva mai nei suoi film trasmessi e ritrasmessi dalla tv?
«All’inizio credo mai, mentre viveva le sue mille vite in una non aveva tempo. Negli ultimi anni, stando più a casa, lo faceva spesso. E riguardandosi si divertiva a ricordare aneddoti; come il cavallo che sul set dei Quattro dell’Ave Maria non ne voleva sapere di farsi montare da lui, e quando mio padre provò a mettere il piede nella staffa, si buttò per terra».
Vede spesso Terence Hill?
«Ultimamente non molto perché è molto impegnato con Don Matteo, e nei pochi periodi liberi si isola con la sua famiglia. Però ci sentiamo, qualche mese fa ci ha detto che spera di tornare presto a mangiare i famosi spaghetti al pomodoro di mia madre».
Ci sono film che suo padre rimpiangeva di non aver interpretato?
«Ha scritto vari soggetti rimasti nel cassetto. Me ne ricordo uno,
Il nonno di Gesù , che gli piaceva molto e gli sarebbe piaciuto interpretare.
Credo avesse iniziato a parlarne in giro ma era talmente preso in mille programmi e progetti che la cosa cadde».
Il 27 giugno ricorreva il quarto anniversario della morte, avvenuta in seguito a una caduta in casa. Suo padre è ora al Verano, nella cappella in cui trova posto anche il suocero Peppino Amato, il produttore della "Dolce vita".
«La cappella è piena ogni giorno di omaggi dei fan: fiori, scatole di fagioli, cappellini, messaggi di una bellezza emozionante... L’altro giorno, a una presentazione del libro, due signori sono venuti ad abbracciarmi. Li ho riconosciuti e sono scoppiata a piangere: erano i due infermieri del Gemelli che lo hanno curato nell’ultimo periodo. Incontri come questo racchiudono il sentimento che c’è nei suoi confronti dopo quattro anni».