ItaliaOggi, 23 luglio 2020
Periscopio
L’audio su Berlusconi ci dice che un pezzo di magistratura vuole moralizzare gli italiani, non perseguire i reati. Carlo Calenda, leader di Azione (Alessandro Trocino). Corsera.
D’Annunzio non era soltanto un poeta, ma uno stregone affascinante, che praticava confusi riti magici nei quali impigliava se stesso e gli altri. Luigi Preti, Un ebreo nel fascismo. Rusconi, 1974.
In campagna, sfollato per difendermi dal Covid, ha scoperto le uova fresche delle galline, la ricerca di formaggi e vini prelibati, a buon prezzo, la bonomìa della gente del paese, le osterie rustiche. C’è altro? Il silenzio totale, interrotto solo dai merli e dal gracidio delle ranocchie: il sonno è profondo, come in città non è più possibile. E infine un ultimo miracolo: ci sono angoli dove si rivedono le lucciole. Cesare Lanza. Alle 5 della sera.
La progressione automatica della carriere dei magistrati non esisteva con la Monarchia e neppure nei primi 20 anni della Repubblica. Fu introdotta nel 1966 dalla Dc, che volle ingraziarsi i magistrati. Toccò a un deputato vicentino, Uberto Breganze, avvocato, presentare la legge (numero 5700) e farla approvare, il 25 luglio di quell’anno. La Breganze aboliva il concorso per esami, fin lì previsto, per la promozione del magistrato di primo grado a giudice d’Appello. Un filtro opportuno che serviva a stabilire l’idoneità del candidato a ruoli più complessi e responsabilità più alte. Con la 570, la prova fu sostituita dal banale passaggio del tempo: dopo 11 anni, durante i quali poteva anche essersi appisolato, il pigro impreparato, saliva sul podio come il collega serio e sveglio. La meritocrazia sparì dalla magistratura, lasciando il posto all’attuale corpaccione in cui ignavi e capaci sono posti sullo stesso piano. Con assoluto divieto di distinguere tra loro. Essendo, per bando divino, tutti uguali, soggetti solo alla legge che ciascuno interpreta a capriccio, monadi intoccabili, impuniti nell’errore e impunibili nelle responsabilità. Giancarlo Perna. LaVerità.
La verità è che Confindustria è sempre più un luogo di piccoli imprenditori, con piccoli presidenti di passaggio che magari credono di utilizzarla come trampolino di lancio per future avventure in politica. Perfino l’ostracismo per evitare che, con un cavillo burocratico, un imprenditore con i fiocchi come Fabrizio Di Amato diventi presidente di Roma e Lazio, ne è una conferma lampante. E il precedente del percorso politico di Conte, con l’impossibile diventato possibile, rende leciti i sogni più irrealizzabili. Luigi Bisignani. il Tempo.
Boris Johnson, l’attuale premier inglese, fin dagli anni di Oxford, dove aveva conosciuto mia figlia, sviluppò un atteggiamento di plateale arroganza. Un esibizionista, certo, ma capace di prendersi la scena. Philip voleva spezzare quel legame tra Boris e Allegra. E mi disse che, se glielo permettevo, avrebbe parlato con un suo amico, un senatore democratico che cercava un assistente per l’imminente campagna elettorale. Fui d’accordo. E quando tutto sembrava fatto, mia figlia mi chiamò e mi disse: sai mamma, ho deciso di rifiutare l’offerta americana. Perché?, le chiesi. Dovrei stare troppo tempo lontano da Boris e questo significherebbe la fine del nostro rapporto. Una settimana dopo mi annunciò che si sarebbero sposati! Ma poi hanno divorziato. Gaia Servadio (Antonio Gnoli). La Repubblica.
Con Bobo io volevo fare satira di costume. Disegnavo me stesso: il naso tondo e i punti neri, la camicia sbottonata alla Fidel, più calvo e grasso di quello che ero, come temevo che sarei diventato. Dissi a Bruna: «Faccio delle scenette familiari. Metto dentro pure te e la bambina. Una cosa leggera. Senza pretese». Lei leggeva e rideva. Come ridevano tutti quelli a cui le facevo vedere. Così presi coraggio e spedii le storie che avevo disegnato a Oreste Del Buono a Linus. Quando le pubblicò, ebbero un successo immediato e incredibile. Innanzitutto, per me. Sergio Staino, vignettista, autore di Bobo (Nicola Mirenz). Huffington Post.
I soldati tedeschi sulla linea gotica li ricordo vagamente. Due dormivano nell’androne del mulino, sotto un tavolo. Avevano sempre una fame terribile, razziavano tutto, pretendevano frittate gigantesche da venti uova. In casa avevamo un maialino: riuscimmo a sottrarglielo e a nasconderlo in una casetta. Una mattina fummo svegliati da un’altra pattuglia tedesca. Tememmo per il maialino; invece cercavano i prigionieri russi che erano scappati. Uno era finito nel campo di granturco dei nonni: ferito a una gamba, fu caricato in una gorgola, enorme paniere per il trasporto del fieno, e condotto in una capanna, dove lo recuperarono i partigiani. Francesco Guccini, cantautore (Aldo Cazzullo). Corsera.
Diffidare di chi vuole bandire fumo e alcol. Papa Francesco, pronto a rinunciare ai valori non negoziabili, ha proibito la vendita di tabacco in Vaticano. È ora di fare la morale a Pio X e XI che fumavano sigari e a Giovanni XXIII con le sue sigarette. Bergoglio si comporta come un sindaco De Blasio qualunque, che ha appena portato a 13 dollari un pacchetto di sigarette, l’igienista che abbatte statue di Colombo. Dopo la damnatio memoriae delle crociate, arriva la crociata salutista in Vaticano. Ora sotto con il prossimo: sessismo, razzismo, ansia, traffico d’avorio, caccia alla balena, piogge acide, colesterolo, cancro, alluvioni, droga. San Pietro è diventato un militante della profilassi del bene comune? Giulio Meotti, giornalista del Foglio, su Facebook.
Questo periodo l’ho vissuto male? Come tutti. Quando è arrivato il dpcm (decreto del presidente del consiglio) e la parola a me, che ho sempre giocato con le sigle, fa molto ridere che obbligava a chiudere la chiesa e il cimitero di un piccolo paese come Cerreto ho pensato che un mondo era finito. Per fortuna mi restavano gli altri due miei luoghi, la casa e la stalla. Nel momento in cui i due pilastri su cui questa terra è cresciuta, «ora et labora» (ovvero il lavoro e la liturgia, non la preghiera perché si può pregare ovunque) sono stati vietati per decreto, era evidente che eravamo di fronte a un cambiamento epocale. Giovanni Lindo Ferretti, dressatore di cavalli e musicista (Luca Valtorta). la Repubblica.
Lenin, che era un divoratore di libri, aveva sempre rifiutato di leggere I demoni di Dostoievsky, romanzo magistrale sui veri desideri intimi degli estremisti di ogni tempo: non realizzare l’armonia sociale, come loro pretendono, ma mettere il mondo a ferro e sangue per saziare i propri risentimenti. Stèphane Courtois, Lènin, l’inventeur du totalitarisme. Perrin. 2017.