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 2020  luglio 23 Giovedì calendario

Tremonti: «Meglio evitare altri prestiti»

«È la prova che le idee giuste, seppur in salita, camminano…», sostiene sorridendo Giulio Tremonti a proposito dell’esito del Consiglio Europeo e dell’accordo trovato sul Recovery Fund. Il titolare del Tesoro in tre governi Berlusconi valuta positivamente alcune scelte di oggi che rilanciano proposte del passato: «La parola eurobond appare per la prima volta nel 1994 con il piano di Jacques Delors, dove il senso era quello di estrarre un dividendo dall’euro in via di costituzione per destinarlo agli investimenti europei – ricorda Tremonti –. L’idea degli eurobond emerge per la prima volta in sede politica nel 2003, durante la presidenza italiana, nella totale opposizione dell’allora Commissione Ue presieduta da Prodi. E l’emissione di titoli europei trovò espressione dopo la crisi del 2008 con l’idea dei bond targati Juncker-Tremonti. Ecco, oggi, a distanza di molti anni, si concretizza una svolta che rimette l’Europa dal lato giusto della storia».
Professore, qual è l’aspetto che più l’ha colpita?
È vero che si tratta di una decisione basata su uno strumento economico, ovvero gli eurobond, ma la ’cifra’ della novità è essenzialmente politica. La pandemia ha spinto l’Europa verso un passaggio politico rinviato per troppo tempo. A suo tempo citavo la celebre frase di Alexander Hamilton («Con una modesta quantità di denaro fonderemo una grande nazione»), ma con Hamilton si faceva riferimento al futuro, ad uno strumento permanente, mentre questi eurobond sono forme di finanziamento a carattere congiunturale, legate a una situazione eccezionale: una tantum o one-off. Si dovrà lavorare per rendere gli eurobond permanenti.
Qual è il rischio di un’Europa che passa dall’essere vista come ’brutta e cattiva’ a dispensatrice di miliardi?
I pericoli da evitare sono certamente quelli delle aspettative deluse e degli effetti boomerang. Per sostenere il bilancio e finanziare gli eurobond deve essere ristrutturato il bilancio europeo, devono essere introdotte imposte comunitarie: carbon tax, plastic tax, web tax. In particolare quest’ultima può determinare reazioni devastanti in termini di dazi americani. Sul piano politico, inoltre, per effetto della pandemia l’Ue si è autosospesa, congelando il Patto di stabilità e crescita e il divieto di aiuti di stato, ma è evidente che questa sospensione avrà un termine e rappresenterà un’ulteriore ’condizionalità’ per un Paese che nel frattempo avrà sfondato tutti i parametri, da un debito che già oggi è al 170% del Pil e un deficit annuale oltre il 12%.
Per cui meglio non accedere al Mes?
L’Italia ha già fatto fin troppo debito. Gli investimenti sanitari sono necessari – dopo che la spesa è stata drasticamente ridotta a partire dal 2012 –, ma il modo migliore per finanziarli non è fare debito, seppure alle condizioni del Mes. La via giusta è più ospedali e meno monopattini, più assunzioni di medici e meno bonus vacanze. È tempo di ragionare da formiche e non da cicale, anche perché la stagione del denaro facile sta drammaticamente finendo per l’Italia come per gli altri.
È un discorso valido anche per i ’Frugali’?
Certo, e il termine di questa fase sarà traumatico per tutti. Anche se la posizione dei Paesi cosiddetti frugali non va demonizzata. È una posizione che si è fermata al tempo di Maastricht: non è solo conservativa, ma espressione di una visione dell’Europa puramente mercantile. Il lato giusto della storia dell’Europa è invece dall’altra parte. In questo momento è chiaro che la geografia politica è mutata. Tutto ruota ancora sull’asse dell’Eliseo (Francia e Germania), ma intorno vengono a configurarsi due altre e diverse aree, quella dei Frugali appunto, e quella dei Paesi di Visegrad. Non credo che questo riassetto sia una novità negativa per l’Europa: la dialettica è giusta e fa sempre bene.
In questo quadro l’Italia quale ruolo gioca?
Fino al 2011 il nostro Paese aveva un ruolo notevole sul piano europeo. Poi con l’arrivo dei governi tecnici – e poi ancora dei tecnici al governo – è iniziato il declino, con l’Italia che ha via via perso forza a Bruxelles. Anche dal negoziato sul Recovery fund l’Italia ha giocato soprattutto il ruolo di beneficiario: un ritorno sulla scena dell’Italia è assolutamente auspicabile e possibile.
Quali sono gli investimenti prioritari?
Sicuramente le infrastrutture, a partire dalla rete unica, come è stato con la rete ferroviaria ai tempi dell’Unità. Punterei sulla ricerca e - essendomi occupato a vario titolo degli ’x per mille’, avendo da ultimo inventato il 5 per mille - dico che dovrebbe diventare almeno il 10 per mille per finanziare il sempre più necessario Terzo settore.