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 2020  luglio 23 Giovedì calendario

I bar all’aperto a Milano, nel 1933

Dall’Archivio del Corriere dela Sera, 7 luglio 1933
Fra tutte le grandi città italiane, la nostra è quella in cui il tipo del caffè tradizionale, ampio, accogliente, coi sofà attorno alle pareti, nel quale è consentito indugiare ore e ore, oziando, scorrendo i giornali, intrecciando chiacchiere, col solo obbligo di centellinare un «espresso» o un bicchier d’acqua, non ha più un modestissimo rappresentante. Troppa la gente premuta dagli affari, troppa la fretta che segna il tempo alla vita cittadina e troppo cari gli affitti per tenere aperti vasti locali a disposizione dei perdigiorno squattrinati. Qui trionfa in pieno il bar, agile, comodo, dinamico, servizievole che assolve benissimo il compito di dar da bere alla svelta alla gente che passa. Ma di sera, e d’estate, è tutt’altra cosa. Il Municipio ha appena finito di concedere a migliaia i permessi di occupazione di suolo pubblico, misurando lo spazio di marciapiede da sottrarre ai pedoni; e son per lo più permessi invocati a dilatare, più che è possibile, fuori dell’uscio, le botteghe anguste e preparare terrazze, giardinetti, recinti: caffè all’aperto, insomma, di tutte le misure. Fuori che nel corso Vittorio Emanuele, le concessioni si estendono a tutta la città, dalla piazza del Duomo, dove si lesina il centimetro quadrato, alla periferia, ove i marciapiedi son così ampi che si può sottrarne una buona metà ai viandanti. In questo la città si è conquistata un primato. In mancanza di spiagge, di vet-te urbane, di giardini adeguati, si fabbricano oasi di riposo che, complice la notte, possono darsi qualche aria romantica.