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 2020  luglio 22 Mercoledì calendario

Periscopio

Mi accusano di arroganza. Per la sinistra io sono di destra, a destra dicono che disprezzo il popolo Quanto all’essere elitario, sono i politici che, non dando soluzioni, disprezzano i cittadini. Carlo Calenda, leader di Azione (Alessandro Trocino). Corsera.
A internet preferisco inter-nos. Perché se del suino non si butta via niente, di internet bisognerebbe buttar via quasi tutto. Alessandro Bergonzoni, attore, in R-Estate a Teatro.

E negli agguati, com’è noto, l’uomo con la pistola che incontra l’uomo con il fucile è un uomo morto. Aldo Cazzullo, Fabrizio Roncone, Peccati immortali. Mondadori, 2019.

Si dice che il grosso del debito fu opera del governo Craxi tra il 1983 e il 1987. È un luogo comune. Con noi, il debito passò dal 70 al 90% del Pil. In gran parte per spese decise in precedenza dai governi del compromesso storico, specie per Sanità e Previdenza. Con Craxi, aumentò invece il Pil, in media del quattro per cento. Crescita che tenne il debito sotto controllo. Claudio Martelli, ex delfino di Craxi (Giancarlo Perna). la Verità.

Sapevo tutto dei soviet russi, della rivoluzione che non è un pranzo di gala, delle contraddizioni interne al capitale, ma non sapevo un cazzo di come vivevano le persone, che la notte non si accapigliavano sulla dittatura del proletariato, ma si svegliavano per cambiare il pannolino alla bambina. Quella fu la fine. Sergio Staino, vignettista, autore di Bobo (Nicola Mirenz). Huffington Post.

Qualche povero di spirito rinfaccerà al professor Pierluigi Lopalco, virologo oggi candidato nella lista di Emiliano per le elezioni regionali in Puglia, certe perplessità, poi rientrate, sull’utilità delle mascherine, e quella profezia, fortunatamente sbagliata, sui ragazzi della movida milanese che entro la metà di giugno avrebbero contagiato i loro genitori. Ma si tratta di macchie trascurabili, destinate a sciogliersi sotto i raggi della Scienza. Massimo Gramellini. Corsera.

Il pontefice argentino è l’unico ad aver detto una frase sensata sulla pandemia: «Pensavamo di rimanere sempre sani in un mondo malato». La verità è che noi vecchi miscredenti vogliamo tornare in sacrestia con i preti, gli ultimi che ancora studiano. Barbara Alberti, scrittrice (Stefano Lorenzetto). Corsera.

Ricordo che durante il liceo dai salesiani le mie inquietudini e affanni giovanili non erano compensati o leniti dalla sobrietà un po’ dozzinale di quegli ambienti e neppure da certa forzata allegria che i preti esibivano e che non ho mai capito. Però ricordo con piacere Don Draisci, un prete ovale di un metro e cinquanta che insegnava filosofia e parolacce. Capivo poco la filosofia, ma molto bene la forza espressiva delle parolacce, che per me sono una grande risorsa linguistica. Soffro molto quando mi ritrovo in contesti in cui non si possono usare. Il mio eloquio si fa involuto e lungo. Con le parolacce mi esprimo in modo efficace e sintetico. E contesto che esse siano volgari. Paolo Sorrentino, regista (Antonio Gnoli), la Repubblica.

Sono nato a Gallarate, mamma maestra e papà faceva... be’, faceva qualcosa, era un quadro di qualche azienda. Lui è sempre stato una presenza lontana e misteriosa, sono andato via da casa presto. Papà è mancato nel gennaio di quest’anno e anche negli ultimi tempi, a sua volta, continuava a chiedermi che lavoro facessi. Vedeva che cambiavo macchina, qualche volta casa, che crescevo due figli e non sapeva esattamente come riuscissi a fare questo. Tito Faraci, sceneggiatore di fumetti (Roberta Scorranese). il Corsera.

Un giorno, alla Locanda Solferino, mi avvicinai a Enzo Biagi e gli chiesi se mi aiutava a contattare Agnelli, Andreotti e qualcun altro. «Regola del mestiere è non dare mai i numeri di telefono» e tirò fuori l’agenda. Se la rigirò in mano, poi disse: «Vado in bagno». La rubrica era lì, sotto il mio naso, l’aprii e copiai i numeri che mi servivano. Chiamai Agnelli e il centralino non me lo passò. Il giorno dopo, alle sei del mattino, squillò il telefono: «Mi dica, com’è Mike Bongiorno?». Era l’Avvocato, mi suggerì di raggiungerlo negli spogliatoi della Juventus a Roma, dove la domenica successiva giocava contro la Lazio. Mi presentai e trovai Luca di Montezemolo arrabbiatissimo perché era lui a decidere chi e quando intervistava Agnelli. Venni via scornata, ma tornai in gioco grazie alla mia amica Marina. Luca se n’era infatuato, prometteva di sposarla, si presentò sotto casa sua con un biglietto per il giro del mondo. Non approdò a nulla, ma mi lasciò intervistare l’Avvocato. In verità fu Agnelli a farmi domande per un giorno intero. Poi venne Andreotti, che disse: «Se cadrà il Muro di Berlino, vedrà che disastro!». L’unico che non accettò, mandandomi una lettera garbata, fu Berlinguer». Sabina Ciuffini, valletta di Mike Bongiorno (Pier Luigi Vercesi). Corriere della Sera.

La nostra comicità, quella del duo Cochi e Renato, era unica, surreale, stralunata, fulminante. Essa nacque, diciamo, per infusione. Stando accanto a gente così, gag e canzoni nascevano spontanee, poi noi le portavamo in scena. Abbiamo attinto a piene mani da un gruppo di intellettuali che ci aspettava e che noi aspettavamo. E non solo persone famose, penso ai clienti del bar Gattullo, forse l’unico luogo di allora che esiste ancora. Tutti assieme ci si inventò «l’ufficio facce»: una commissione che bocciava e promuoveva chi entrava, guardandolo. Capivamo anche se uno era interista, più fighetto, o milanista, più popolare e vero. Io sono milanista, ovvio. Il giorno del derby per soffrire meno fingevamo di non andarci. E facevamo a gara a chi inventava la palla più grande. Una comunione di un cugino. Un anniversario di un lutto coi fiori da portare al cimitero. Invece in tasca avevamo tutti il biglietto di S. Siro. Renato Pozzetto, comico (Luigi Bolognini). la Repubblica.

Marco Aurelio era un buon governante e un uomo solo. Nel suo lavoro la solitudine, ovviamente, è una condizione naturale, ma egli era più solo di tanti altri. Usò la borsa dello stato con parsimonia, ed essendo lui stesso parco, cercò d’incoraggiare questa qualità negli altri. In diverse occasioni, quando l’Impero necessitò di denaro, vendette i gioielli imperiali piuttosto che affliggere i sudditi con nuove tasse. Né costruì edifici stravaganti, nessun Pantheon o Colosseo. Inoltre, non gli piacevano troppo i circenses, e a quanto si dice, se costretto a presenziare a uno spettacolo, durante la rappresentazione leggeva o scriveva o ascoltava i suoi consiglieri. Fu lui, però, a introdurre nel Circo Massimo la rete di sicurezza per gli acrobati. Iosif Brodskij, Fuga da Bisanzio. Adelphi 2004.