Il Sole 24 Ore, 22 luglio 2020
Cosa ha ottenuto l’Olanda
Tra le voci in attivo dei cosiddetti Paesi frugali c’è qualcosa che va oltre il riconoscimento politico del ruolo di Olanda, Austria, Svezia e Danimarca nell’Europa del dopo-Brexit, al cospetto del ritrovato asse franco-tedesco. Ci sono benefici economici immediati che i vertici europei – e i due leader Angela Merkel e Emmanuel Macron – hanno dovuto mettere sul piatto della bilancia per portare a casa un accordo di compromesso.
Per coglierne appieno la portata può essere utile fare un passo indietro, alla proposta di “Un bilancio per il futuro” formulata dalla Commissione europea nel 2018. Nel documento, si sottolineava che Brexit offriva l’opportunità di rimettere ordine nel complicato sistema dei “rebates”, gli sconti nei contributi al bilancio comunitario: «La Commissione – era l’impegno – propone di eliminare tutti i rebates e di ridurre dal 20 al 10% l’importo che gli Stati membri trattengono quando raccolgono dazi doganali. Entrambe le misure semplificheranno e renderanno più equo il budget».
I rebates erano originariamente i rimborsi nei contributi versati al bilancio comunitario concessi a metà degli anni 80 al Regno Unito di Margaret Thatcher (giudicati eccessivi in rapporto ai sussidi poi ricevuti da Londra) e redistribuiti inizialmente tra tutti gli altri Stati membri, poi con correttivi che hanno via via portato a beneficiare a loro volta di rimborsi la Germania e, appunto, i quattro “frugali”.
A ben guardare proprio la difesa di questi sconti è forse la prima ragione costitutiva dell’alleanza a quattro, se è vero che, nella lettera firmata a nome di tutti dal cancelliere austriaco Sebastian Kurz a febbraio – una sorta di manifesto –, si indicava come principale priorità il mantenimento dei contributi finora pagati: «Per decenni – era la denuncia – Bruxelles ha riconosciuto che alcuni Paesi pagavano una quota sproporzionata di contributi. Ma la Commissione europea propone di metter fine a questo sistema di rimborsi. Il che significa che i nostri quattro Paesi e la Germania finirebbero per finanziare il 75% dei contrinbuti netti al budget Ue. Noi insistiamo per correttivi permanenti».
Quelli ottenuti al vertice fiume terminato ieri mattina non saranno forse correttivi permanenti, ma rappresentano un sostanzioso sconto per i prossimi sette anni: 565 milioni all’anno di riduzione lorda per l’Austria (circa il doppio della prima proposta messa sul tavolo dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel sabato), 1,92 miliardi per l’Olanda (da 1,57), 1,06 miliardi per la Svezia (da 823) e 377 per la Danimarca (da 222). Il che, moltiplicato per sette anni, equivale a più di 27 miliardi. Invariato il rimborso garantito alla Germania, pari a 3,67 miliardi all’anno.
Il bottino dei “frugali” non finisce però qui, perlomeno per il Paese capofila dell’alleanza nonché il più agguerrito nelle trattative: l’Olanda di Mark Rutte. Nelle conclusioni del Consiglio europeo relative alle risorse proprie del prossimo bilancio comunitario, si legge che «a partire dal 1º gennaio 2021 gli Stati membri» tratterranno «a titolo di spese di riscossione, il 25% degli importi da essi riscossi». Le risorse proprie tradizionali sono essenzialmente i dazi doganali sulle importazioni di merci provenienti da Paesi extracomunitari, su cui finora gli Stati trattenevano un 20% che, come ricordato prima, la Commissione voleva ridurre al 10 per cento.
La quota invece finirà addirittura per aumentare e non si può non pensare ai vantaggi che ne ricaverà prima di tutto l’Olanda che, con il maggior porto continentale, quello di Rotterdam, è la porta d’Europa, snodo fondamentale dei flussi commerciali in arrivo nell’Unione europea. Mark Rutte, in definitiva, sull’altare del Consiglio europeo ha dovuto sacrificare il diritto di veto sugli esborsi e ridimensionare qualche pretesa. Ma non torna in patria a mani vuote.