Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  luglio 22 Mercoledì calendario

Tatiana Trouvé, artista da prima pagina

La mattina del 15 marzo Tatiana Trouvé era nel suo atelier a Montreuil, banlieue est della capitale. Sul tavolo la prima pagina di Libération annunciava l’inizio del lockdown con un titolo ad effetto: “Il giorno dopo”. «Mi è sembrato un film apocalittico, ho cominciato a disegnare». Sulle colonne del giornale francese è apparso un albero maestoso, delle corde appese nel vuoto, un paesaggio misterioso impastato con gli articoli che raccontavano l’emergenza sanitaria. È cominciato così il nuovo progetto dell’artista franco-italiana, le cui opere sono già all’interno di importanti collezioni pubbliche, tra cui quelle del Kunstverein di Amburgo o del Centre Georges Pompidou. Come supporto per le sue creazioni Trouvé ha usato solo prime pagine di quotidiani scelti in trentaquattro paesi. I titoli dei grandi giornali internazionali, vicini nel racconto dello stesso dramma, sono andati a confondersi con l’immaginario più intimo dell’artista.
Famosa per le sue combinazioni tra sculture, disegni, installazioni, Trouvé ha trasformato la carta stampata in un’opera d’arte. «Non è qualcosa di così inedito» precisa citando, tra gli altri, Alighiero Boetti, che aveva una passione per giornali e riviste. Durante il lockdown, le giornate cominciavano con la lettura dei quotidiani al computer. «Purtroppo molte edicole erano chiuse e i giornali stranieri non arrivavano più». La scelta delle prime pagine scaricate e poi usate come supporto per i suoi disegni è stata fatta sull’onda di un’emozione suscitata da un titolo, una fotografia, uno schema grafico, ma anche con un criterio etico e politico. «Ho deciso di prendere solo giornali liberi, non al servizio di un qualche regime o dittatura. Non prendevo in considerazione neanche tabloid o giornali scandalistici».
L’artista nata a Cosenza da padre francese e madre italiana, cresciuta in Senegal, è un’assidua lettrice di carta stampata. «Non mi fido delle notizie che leggo su Facebook» dice Trouvé che cita la frase che appare sotto alla testata del Washington Post, “Democracy dies in darkness”. Giochi di opposti, suggestioni architettoniche, oggetti familiari.
Quello di Trouvé è un viaggio da fermo. Lei che è abituata a muoversi continuamente per le sue mostre – “On the Eve of Never Leaving” si è conclusa a Los Angeles qualche mese fa – si è trovata rinchiusa per quasi due mesi con il suo cane Lulu a Montreuil. Il suo fedele compagno appare sulla prima pagina dell’edizione del Guardian del 17 marzo. La serie è composta da quarantuno disegni. Ai titoli dei giornali si sovrappongono i “drammi ambientali” con cui Trouvé si è fatta conoscere, malinconici ed intensi. «Spesso il disegno era una reazione a quello che stavo leggendo». Sulla prima pagina di Repubblica del 22 marzo, con il titolo “Italia sbarrata” si apre un sipario con una sedia vuota. Sull’edizione della Stampa del 26 marzo appare un fantoccio di legno. «Altre volte ho avuto solo voglia di aggiungere qualche momento o luogo della mia vita». Una stanza da letto su una doppia pagina che tiene insieme New York Times e South China Post (titolo: “Socialising Distance”). L’interno di un armadio su La Hora, quotidiano di Santo Domingo. Un cavalcavia sul quotidiano brasiliano Folha de São Paulo. Una quercia nel mezzo del giapponese The Asahi Shimbun. Un serpente avvolge il messicano La Jornada con un titolo su Trump che usa la pandemia per attizzare la xenofobia. Contrapponendo il flusso incessante del tempo a evocazioni di regni famigliari o chimerici, emerge un diario molto personale del Covid. «È la sovrapposizione tra l’immagine di un vasto mondo che si è trovato unito nella necessità di rinchiudersi e quello, ancora più ristretto, dell’atelier popolato dalle mie idee ed emozioni».
Molti giornali, nota l’artista, si assomigliavano nella descrizione della crisi, con la macabra contabilità di vittime e contagi, il racconto dell’eroismo di medici e infermieri che hanno salvato vite umane. «C’erano molti punti in comune – osserva Trouvé – ma anche alcune differenze, ho trovato che l’informazione in Italia aveva un approccio più caldo e umano di quello della Francia».
Anche se è la prima volta che Trouvé esercita il suo immaginario sulla carta stampata c’è un nesso ideale per un’artista che ha indagato più volte la memoria di oggetti e luoghi, una memoria che distorce la realtà, la amplifica o la riduce. Nel 1997 ha trasformato il suo tentare di emergere nel mondo dell’arte nel soggetto di in una sorta di ufficio immaginario, il B.A.I., Bureau d’Activités Implicites, nel quale archiviare curriculum, progetti mai realizzati o in divenire, lettere di risposte stereotipate di gallerie. All’interno del B.A.I. nasceranno i polder, modelli di ricordi di luoghi e momenti già in parte dimenticati. «Durante il lockdown molti artisti hanno lavorato in modalità virtuale e mi sono domandata cosa sarebbe restato delle loro produzioni. Cosa avrebbe trovato uno storico che avesse voluto rintracciare la creazione artistica di questo periodo?». Il progetto, racconta ora, è stato anche un modo di superare la durezza del lockodwn. «Un appuntamento quotidiano che ha ritmato questa condizione di clausura così particolare». Trouvé ha ormai lasciato l’atelier di Montreuil ed è tornata in Italia per l’estate. «Avevo bisogno di ritrovare la mia famiglia». La serie di prime pagine, che dovrebbe essere esposta alla galleria Gagosian di New York il prossimo inverno, si conclude il 25 aprile, per rispettare il periodo canonico della quarantena anche se il lockdown in Francia è durato di più.