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 2020  luglio 22 Mercoledì calendario

Polemiche per la maglia a zig zag dell’Inter

Se la prima maglia, a zig-zag, aveva lasciato molti tifosi interdetti, l’Inter con la seconda ha ottenuto due e solo due reazioni: sconforto, fra chi vive la divisa come una bandiera da custodire e non dissacrare; ironia per tutti gli altri. «Una tovaglia per il picnic», «lo schema del tris», «la camicia di Forrest Gump» sono alcuni dei commenti con cui i tifosi hanno accolto quella che la Nike ha presentato come «un’interpretazione davvero innovativa del tipico look da trasferta del club». L’Inter e il suo sponsor tecnico, con le maglie del 2020-21, hanno osato. Hanno osato troppo, secondo molti dei tifosi, per definizione tradizionalisti. Ma se siamo qui a scriverne (peraltro a zig-zag) è perché non è più una questione di gusto, o di gusti. L’evoluzione della prima maglia nerazzurra (sulla seconda si erano già viste sperimentazioni), con l’abbandono delle classiche strisce, è la conferma di una tendenza. Le maglia non più solo simbolo di appartenenza e prodotto da vendere in “curva”, ma testa di ponte di una linea di abbigliamento, strumento di marketing per sfondare in mercati che vanno oltre ai confini degli spettatori da stadio.

Come nascono
Le due maglie nascono come declinazioni di uno stesso stile grafico, quello del movimento postmoderno Memphis, nato proprio a Milano negli Anni 80 e le cui linee hanno ciclicamente ispirato design, moda, architettura e grafica nei decenni successivi. «Ma se il motivo grafico in altre maglie viene accennato, qui l’ha proprio schiantata in due. Il tifoso all’inizio si trova disorientato», dice Fabio Pisanu, fondatore di «Football Nerds» e studioso con incursioni “universitarie” del mondo delle maglie da calcio. Ma oggi il tifoso non è più l’unico target di un prodotto che deve fare breccia su terreni nuovi. Se il tribal-pop (lo zig-zag) affonda le radici in Memphis ma vuole richiamare anche il “biscione”, la scelta di “rottura” può appoggiarsi sulla fortunata divisa della Nigeria al mondiale russo. Anche quella poco tradizionale, anche quella a zig-zag, fu un successo planetario che uscì dai confini delle maglie da calcio e si portò dietro tutta una linea di streetwear molto remunerativa. «Oggi dopo anni di maglie molto simili, che differivano solo per i colori, e un decennio di ricerca tecnologica, si vive una nuova stagione di creatività – continua Pisanu -, con richiami a architettura, cultura pop, legami con le città. Si cercano maglie che possano diventare cult più fuori dallo stadio che nello stadio stesso». La sfida è globale, e si muove su una sottile linea fra sperimentazione e ritorno alla tradizione: è il caso della Juve, che recupererà le strisce dopo la divisa da “fantino” di quest’anno, o del Barça rugbista (linee orizzontali). In Inghilterra spesso vengono consultati gli stessi tifosi, anche perché i club possono contare su una base di acquirenti sicuri, per tradizione, molto più ampia. Altrove si va per tentativi e seguendo le proposte degli sponsor tecnici: alcune intuizioni sono più riuscite di altre, ma alla gloria eterna, poi, contribuiscono anche i risultati e le foto con le coppe.